Questo non è un paese per insegnanti
di Marina Boscaino fonte Globalist.it
Non importa quale sia la vostra esperienza. L’aggiornamento dei docenti trasformato in un obbligo con un decreto che non tiene conto del contratto.
Dicono che non è vero; poi, puntualmente, è vero. Sono anni che l’offensiva sugli Invalsi – di cui una parte del mondo della scuola contesta metodo e merito – va avanti implacabilmente, mentre i ministri di turno tentano di rassicurare che testare gli studenti italiani con gli Invalsi non ha alcun intento punitivo.
A smentire la melina dei suoi predecessori ci ha pensato, però, Carrozza, che nel recente decreto istruzione, all’articolo 16, prevede una sorta di formazione coatta per i docenti che abbiano classi che falliscono i test. Stanziamento previsto: 10 milioni di euro.
La capacità didattica verrebbe dunque misurata attraverso l’abilità maggiore o minore che gli studenti dimostrano di rispondere correttamente ai test. Ecco come vanificare – con un irresponsabile colpo di spugna intriso di inconsapevolezza, ignoranza, autoritarismo – anni di ricerca e di pratiche che si sono basati su modelli formativi che con i test Invalsi non hanno (fortunatamente) nulla a che fare; ecco sposata ed imposta definitivamente una prospettiva non coerente con la nostra prospettiva didattica democratica, meno “meccanizzata”, basata sulla pluralità dei punti di vista e sinergia tra conoscenze, competenze e abilità, e con essi dei saperi analitico-critici complessi.
Ecco piegati epistemologie e pratiche didattiche all’asservimento alla sintassi del pensiero unico di stampo neoliberista, alla possibilità di una risposta sola, che nega definitivamente la complessità del reale. Oltre a riproporre il perenne problema della demagogica tendenza a far “parte uguali tra diversi” – non tenendo conto delle oggettive differenze socio-culturali che caratterizzano la popolazione scolastica italiana; oltre a confermare i sospetti di molti di una valutazione forzosa e censoria, volta – chissà – a screditare ulteriormente la miracolosa compagine dei docenti italiani, che continua responsabilmente a portare avanti la scuola, nonostante il più drastico taglieggiamento di fondi che l’Occidente in crisi economica abbia prodotto; oltre a ribadire l’inconsistenza di un governo che a parole dice “ascolto” e nei fatti autoreferenzialmente emana provvedimenti muscolari, sconfessando dichiarazioni evidentemente di maniera; oltre a tutto questo, il provvedimento sfata i miti della valutazione come strumento di miglioramento e di intervento diretto sul sistema, sostanzialmente affermando: se i ragazzi falliscono gli Invalsi è colpa vostra.
Non importa quali siano le vostre competenze disciplinari e relazionali; non importa quale sia la vostra esperienza. Non importa che, a fronte dei tagli, sono secoli che non esistono piani di formazione e aggiornamento degni di questo nome; né che, sempre per lo stesso motivo, le vostre classi siano intasate di studenti o che, per la revisione delle classi di concorso, voi siate stati sostanzialmente degradati a tappabuchi, a prescindere dalle vostre specifiche qualità professionali. Non importa, ancora, che – nonostante tutto – dalle vostre scuole escano studenti con un livello culturale riconosciuto e rispettato nel mondo. L’asfittica e pervasiva visione test-centrica vince. E determina conseguenze cui è sottesa la stigmatizzazione. Pazienza se non hanno fatto altro che affermare il contrario.
L’aggiornamento dei docenti viene trasformato in un obbligo attraverso un decreto che non tiene conto del contratto di lavoro. Attribuendo di fatto ad un ente non autonomo dal ministero il compito di valutare l’operato degli insegnanti. Ecco la prima conseguenza immediata del regolamento sul , recentemente approvato.
Questo non è un paese per insegnanti.