IL NEMICO N.A.T.O. per morire: la natura illogica della logistica sanitaria
di Gian Luigi Deiana
Giorno dopo giorno trovo sempre più inutile la continua reiterazione di una verità nota a tutti come l’acqua calda, cioè che scontiamo ora trent’anni di spoliazione della sanità pubblica.
Purtroppo insistere ora su questo è dal lato pratico, oggi, quasi tempo perso.
È però utile riflettere, prescindendo dalle altre pregiudiziali, sulla logica attuale su cui è strutturato il sistema sanitario e la sua affidabilità.
Si può dire per grandi linee che il sistema sanitario nazionale è in realtà un agglomerato di sistemi sanitari regionali.
Ogni regione è stata spinta, proprio per queste rispettive delimitazioni, a favorire in termini sussidiari il complemento privato, divenuto col tempo sempre più pervasivo e paradossalmente, per gli investitori più forti, un sistema nazionale con filiali regionali: tendenzialmente si tratta di una vera e propria inversione del rapporto di sussidiarietà.
Ammesso che un modello di questo tipo possa soddisfare la domanda ordinaria, innumerevoli volte si è avuta prova del fatto che esso non è in grado di soddisfare le necessità dovute alle condizioni straordinarie e in particolare alle emergenze: le calamità naturali lo attestano inconfutabilmente.
Tuttavia terremoti o alluvioni hanno quasi sempre una dimensione circoscritta e quindi una possibilità di ammortizzare i picchi esportandone una parte nelle regioni vicine: ma una vera emergenza, o peggio una emergenza planetaria e minimamente durevole, non può essera ammortizzata nei modi conosciuti.
Resta quindi un terzo supporto, di dimensione costitutivamente nazionale o addirittura internazionale: la sanità militare.
Ovviamente non si tratta dell’organico dei medici e degli operatori di sanità arruolati nei vari corpi, presumibilmente contingentato, ma delle disponibilità strumentali indispensabili in condizioni di emergenza, in particolare i cosiddetti dispositivi di autoprotezione: non solo strutture per ospedali da campo e provvidenze antiepidemiche, ma appunto camici, guanti e mascherine per monouso.
In questo campo non può valere la limitazione dell’ordinarietà: un esercito è per sua ragion d’essere una istituzione deputata a fronteggiare la straordinarietà, in particolare la guerra e più in particolare ancora la guerra di tipo contemporaneo, batteriologica, chimica, o semplicemente pianificata per gettare nel caos le popolazioni civili.
Altrimenti qual è, secondo la sua definizione e non la mia, la ragion d’essere di un esercito?
Naturalmente dobbiamo ora osservare che questa parte speciale dell’organizzazione della società, deputata formalmente alla difesa ma di fatto riformulata per missioni internazionali di attacco benintenzionato, o presunta pace, necessita di una doppia articolazione: col sistema industriale e col sistema delle alleanze; i nomi fondamentali di queste due entità sono i seguenti: Finmeccanica e N.A.T.O..
Come opera il complesso militare-industriale in campo sanitario?
Se si occupa di guerra, che concetto ha di “emergenza”?.
E come è organizzato in campo sanitario il sistema di alleanza N.A.T.O.?
E che concetto ha di “emergenza”?
Da queste semplici domandine scaturiscono alcune osservazioni assolutamente sconfortanti: come saremmo ridotti se davvero fossimo in guerra?
Come mai la più titolata industria mondiale nel campo della moda, dei tessuti in memory, del design e dell’ingegneria di precisione non sa riconvertire un segmento elementare di produzione per fare camici, mascherine e respiratori?
Come mai la provincia più titolata nella produzione di armi non riesce a fermare le sue fabbriche pur essendo al top dei contagi?
Come mai alcuni inguardabili seminatori di divisione hanno colto questa spaventosa occasione per proporre di affidare la gestione dell’emergenza proprio al gran capo di Finmeccanica De Gennaro?
Perchè non ci sono dispositivi elementari di protezione per medici, infermieri ed operatori sanitari?
E quanto alla N.A.T.O., come mai l’alleanza sanitaria su cui ha potuto contare finora l’Italia annovera la Repubblica Popolare Cinese, il Venezuela, Cuba e probabilmente la Russia, mentre la N.A.T.O. continua imperterrita le proprie esercitazioni come una stupida banda di minorati?
Non si tratta di domande provocatorie, poichè sarebbero fuorvianti e non rispondibili.
Si tratta di porle entro un quadro problematico estremamente realistico e tuttavia universalmente rimosso: chi è oggi “il nemico”?
Chi sarà nel prossimo futuro “il nemico”?
Prendendo a testimoni le innumerevoli guerre succedutesi dopo la seconda guerra mondiale “il nemico” era configurato nel risiko del petrolio.
In nome del petrolio si è crocifisso l’Irak, l’Iran, lo Yemen, la Libia, la Somalia, la Siria, il Venezuela e per effetto indotto il corridoio yugoslavo, il corridoio ucraino e si mandata in fumo una parte immensa della foresta amazzonica e in liquefazione una parte immensa della calotta polare.
Oggi la quotazione del petrolio è scesa a quindici centesimi di euro per litro e questa spirale prelude a un crollo catastrofico dell’equilibrio economico che apparentemente ancora resiste.
Ma “il nemico” non si staglia più da gran tempo all’orizzonte sui campi petroliferi del pianeta: “il nemico”, da qui in poi, è la malattia.
La malattia improvvisa, autoespansiva, rapida e ampiamente mortale.
Se vi è un nemico si ha necessità di un esercito, una necessità ultimativa.
Se il nemico sa essere mondiale si ha necessità ultimativa di un esercito mondiale.
Se il nemico è la malattia autoespansiva si ha necessità di un’alleanza sanitaria mondiale, con un complesso sanitario-industriale capace di trasvalutare la funzione stupida e vorace del complesso militare-industriale fino ad oggi conosciuto.
“Il nemico” ha mandato per la prima volta, in queste settimane, il proprio ambasciatore: nome internazionale, COVID 19.