Maledizioni e “frastimus” per gli incendi: educazione ambientale e la bambina che pianta un albero – di Andrea Scano, maestro elementare

Maledizioni e “frastimus” per gli incendi: educazione ambientale nelle scuole e la bambina che pianta un albero – di Andrea Scano, maestro elementare

 

Maledizioni e “frastimus” a seguito degli imponenti incendi in terra sarda si sprecano in questi giorni.

La rabbia è tanta, troppa, soprattutto per chi ha conosciuto dal vivo lo splendore dei boschi del Montiferru e dintorni.

La rabbia è straripante, traboccante, e quindi la si dirige a volte sui piromani, a volte sui politici, a volte sugli imprudenti, a volte sulle “istituzioni”.

Ma oggi preferisco non accodarmi al coro di “frastimus”.

Scelgo deliberatamente di non pubblicare una delle tante immagini rosse di fuoco o nere di cenere che in questi giorni stanno invadendo i social.

Preferisco invece proporre un’immagine positiva, un’immagine di speranza: una bambina che pianta un giovane alberello nel cortile di una scuola.

Questa attività per me, maestro elementare in servizio da 38 anni, è diventata ormai un’abitudine da almeno 25 anni a questa parte. Facendo due rapidi conti, saranno almeno 150 gli alunni che, in diverse scuole, hanno piantato insieme a me nuovi alberi, prendendosene cura nel tempo, innaffiandoli, vedendoli lentamente crescere.

Ho notizie certe che molti di quegli alberelli sono sopravvissuti, diventando col tempo piante robuste alte diversi metri.

Ma cosa saranno mai un centinaio di nuove piante, a fronte delle centinaia di migliaia distrutte dagli incendi?

Quasi nulla, giusto la goccia d’acqua portata nel becco da un colibrì nel vano tentativo di contribuire a spegnere un rogo gigantesco.

Ma c’è (per fortuna) l’altra faccia della medaglia.

Forse non sono tanto importanti quei nuovi alberi sistemati nei giardini di alcune scuole, quanto quei nuovi bambini che crescono (o sono cresciuti) insieme a quegli alberi.

Bambini diventati adulti anche grazie a loro: al maestro Leccio, al maestro Corbezzolo, al maestro Carrubo …

Sono assolutamente convinto che questi “nuovi adulti” sapranno essere più responsabili e capaci di mantenere in vita a lungo i nostri preziosissimi boschi.

E sono convinto che la maggioranza di chi legge queste righe, ora, la pensi esattamente come me.

Ma … c’è un “ma”.

Lo sapete che nelle scuole le attività a contatto con la natura (tanto apprezzate da bambini e genitori) quasi mai vengono supportate e incoraggiate?

Lo sapete che dietro le attività di cura di un orto o di un giardino didattico ci sono ore, giornate, settimane di lavoro fornite quasi sempre “aggratis” da parte degli insegnanti?

Lo sapete che tante volte l’acquisto di sementi, piccoli attrezzi e strumenti vari è a carico direttamente degli insegnanti (perché la burocrazia è tale e tanta che spesso scoraggia le procedure di acquisto – rimborso “secondo le regole”)?

Sarebbe ora che la scuola (e la scuola sarda in particolare) riprendesse in mano alcune buone pratiche riguardanti le attività all’aria aperta, in natura.

Pratiche elaborate nel tempo anche da illustri pedagogisti e che però non vanno più tanto di moda.

Partendo dalla cura amorevole (e sottolineo “amorevole”) dei giardini delle scuole o di altre aree pubbliche dove bambini e ragazzi possano mettersi in gioco, arricchendo e tutelando un bene comune.

Facendo sì che queste buone pratiche diventino “sistemiche” e non solo esperimenti portati avanti da pochi intraprendenti e coraggiosi.

In tempo di cambiamenti climatici rapidi ed estremamente preoccupanti per il nostro pianeta (gli eventi disastrosi di questi giorni ne sono ulteriore conferma, e non parlo certo solo di incendi) queste attività diventano ancora più urgenti.
C’è da sperare che una scuola intasata da troppi progetti inutili, dalla necessità ossessiva di “apparire in copertina”, assediata dalla burocrazia dei vari PTOF, PON, RAV e compagnia cantante, accerchiata dalla protervia di una digitalizzazione selvaggia che ritiene di essere superiore a qualsiasi riflessione pedagogica e a qualsiasi rapporto con la vita e il vivente, trovi il coraggio di tornare ad azioni semplici ed efficaci di educazione ambientale.

Una educazione che non può essere la risultante di nozioni astratte somministrate ai bambini come pillole, da misurare con i test a crocette, ma deve essere fatta di azioni concrete e di amore vero, come ci insegna la bambina che pianta un albero nel cortile della sua scuola.
C’è da sperare, infine, che le scuole si possano impegnare in attività di “educazione all’aperto”, e non in quelle di “outdoor education”.

No, perché, vedete, un altro dei problemi che viviamo è questa continua, persistente richiesta di utilizzare la terminologia anglosassone.

Con la segreta, malcelata intenzione di apparire in un modo “molto più fico”.

E’ la solita, vecchia impostazione del “tanto fumo, niente arrosto”.

Non è questo ciò che serve ai nostri bambini, né al futuro della nostra isola.

Tanto meno serve, il fumo, in periodo di incendi.

E quindi il mio augurio è: dal prossimo anno scolastico, tutti a piantare arrideli, ollastu, olioni, ilixi e quant’altro nei giardini delle scuole!

Tutti rigorosamente in sardo, mi raccomando!

E se qualcuno proprio non riesce a fare a meno degli anglicismi provvederà in proprio alla traduzione sardo – inglese (così, per sentirsi un po’ più fico …).

Certo non riusciremo, per incanto, a far rinascere in un attimo i boschi del Montiferru, ma almeno contribuiremo a far crescere un popolo sardo che porti attenzione, cura ed amore verso la propria terra.

(Andrea Scano, maestro elementare)

 

 

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