Meloni calpesta Don Milani, il merito della scuola è includere chi resta indietro. Eraldo Affinati su Il Riformista

Meloni calpesta Don Milani, il merito della scuola è includere chi resta indietro.

Eraldo Affinati su Il Riformista

25 ottobre 2022

Don Lorenzo Milani, lassù a Barbiana, in quella specie di strapiombo dell’Appennino toscano in cui lo confinarono e lui, ostinato e caparbio, si volle far seppellire, dove anche papa Francesco andò a rendergli omaggio superando in un sol colpo anni di equivoci e incomprensioni, si starà rigirando nella tomba dicendo più di qualche parolaccia, com’era suo costume quando s’inalberava e gli accadeva spesso di fronte alla protervia e all’ignoranza della gente che non vuole capire: ma come, se il Ministero dell’Istruzione è diventato anche quello del Merito, allora non è servito a niente tutto ciò che ho fatto?
Io, starà bofonchiando il priore, ci ho sputato il sangue per spiegarlo con ogni dovizia e dopo cent’anni dalla mia nascita (essendo del 1923, dal prossimo gennaio cominceranno le prevedibili formali cerimonie di commemorazione), ecco qua, bisogna ricominciare da capo, come se nulla fosse accaduto.

Non bastava l’articolo 34 della Costituzione? «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».
Più chiaro di così! E allora perché aggiungere la parola “Merito”? Insegno lettere da quarant’anni. All’inizio mi rivolgevo ai ragazzi di borgata che frequentavano l’istituto professionale: autostima sotto lo zero. I nostri sforzi come docenti erano tesi a recuperarli in quanto persone, prima ancora che come scolari. Il merito non sapevano neppure cosa fosse. Si consideravano scarti. Conoscendoli ti accorgevi che non era vero. Si trattava di adolescenti feriti. Bisognava fargli prendere coscienza di sé. Diversi fra questi giovani smidollati io, sfidando la sorte, li ho portati a insegnare l’italiano ai loro coetanei immigrati: i risultati sono stati sorprendenti. Giulio, al quale dedicai l’Elogio del ripetente, non solo spiegava i verbi a Mohamed, mi aiutava anche a dirimere i contrasti che nascevano fra albanesi e afghani.
In un anno intero mancò soltanto due lezioni: una perché doveva giocare a pallone, l’altra quando andò dal dentista. Così quegli studenti pluribocciati, ribelli e negligenti, si trasformavano in educatori, mostrando risorse pedagogiche a loro stessi ignote. Eppure, sin dalla terza media, al tempo in cui erano stati licenziati con una striminzita sufficienza, i consigli di classe li avevano bollati nei giudizi definendoli inadatti a frequentare il liceo. A chi intende selezionare i giovani mediante apposite prove, lasciando indietro chi non le supera, vorrei ripetere un mio vecchio assioma: una schiera di secchioni riuniti tutti insieme sarebbe tristissima, proprio come una banda di soli bocciati. Ogni apprendimento possiede una forma e un tempo specifici da scoprire e rispettare, fermo restando gli obiettivi finali comuni da perseguire.
Le migliori classi sono eterogenee, promiscue, composte da maschi e femmine, bianchi e neri, buoni e cattivi, bravi e somari. Le eccellenze non vanno isolate in laboratorio ma messe a frutto all’interno del gruppo, in maniera che possano rendere ancora di più. Il vero insegnante lo vedi nei momenti di difficoltà, di fronte alla classe difficile, che non lo ascolta e gli lancia i bastoni fra le ruote; non quando tutto sembra funzionare, con gli scolari che stanno zitti nel momento in cui lui spiega e prendono appunti solerti e compiti (si tratta spesso di una “finzione pedagogica” da spezzare).

Esiste uno scarto, non visibile a occhio nudo, fra la risposta esatta e quella sbagliata. La prima può essere, non sorprendetevi, meno efficace della seconda.

Faccio un solo esempio.

Per sondare la preparazione degli studenti, lo sappiamo, vanno di moda i test di verifica in stile quiz a premi. Il ragazzetto sveglio magari ha messo la crocetta al posto giusto ma se il giorno dopo si è già dimenticato il concetto, a cosa gli è servito? Inoltre, forse nello scegliere fra le tre opzioni richieste, A, B e C, è andato a intuito, mostrandosi scaltro e furbo.

Ma il riscontro ottenuto, in base al quale è stato considerato meritevole, non è vera conoscenza. Al contrario, la risposta sbagliata, da non gettare mai nel cestino, ti può rivelare cose che quella esatta ha tenuto nascoste. Scoprire il merito, anche se ci riferissimo al valore dei docenti, comporta un notevole lavoro di fondo. Cos’è davvero la qualità scolastica? Come si ottiene? Da dove scaturisce? In quale modo favorirla? Queste dovrebbero essere domande essenziali, relative all’educazione dei nostri figli, e non solo, stiamo parlando della coscienza del Paese, purtroppo quando si discute di scuola lo si fa in modo strumentale, schematico, ideologico, opportunistico. Si tende a confinare il dibattito in ambito specialistico. Oppure conta il titolo a effetto e non la sostanza. In campagna elettorale sono state altre le priorità. Ne pagheremo le conseguenze?

Tutti noi vogliamo premiare i talenti presenti nei ragazzi: impossibile negare che sia questa la meta essenziale da raggiungere. Ma se accostiamo la parola “Merito” a quella dell’Istruzione, rischiamo di tornare indietro anni luce, senza considerare il valore innovativo della legislazione scolastica italiana in tema di inclusione, anche rispetto agli altri paesi europei, dimenticando la grande lezione di coralità che ci diede don Milani.

Chi era, secondo lui, il vero sapiente?

«Dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo». Vale a dire che se tu non spezzi il pane della cultura, se tieni tutta per te la tua erudizione, il tuo merito, diventi sterile, non servi a niente, non sarai mai utile a nessuno. Invece di dividere gli studenti in base alle loro presunte competenze, bisognerebbe «imparare che il problema degli altri è uguale al mio.

Sortirne tutti insieme è la politica.

Sortirne da soli è l’avarizia»

Eraldo Affinati articolo sul Riformista

 

 

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