LA  COLPA AL TERMOMETRO una osservazione sulla discriminazione scolastica – di Gian Luigi Deiana

LA  COLPA AL TERMOMETRO

una osservazione sulla discriminazione scolastica 

di Gian Luigi Deiana

 

In questi giorni si è fatto un sacco di chiasso sul report di una scuola romana riguardante il bacino di provenienza dei propri alunni ed in particolare la relativa estrazione sociale. 

Questo genere di report si chiama in sigla “RAV ed è richiesto dalla norma, poi dipende da come lo si scrive.

Come succede per i referti clinici, la forma espressiva può essere anche antipatica, indebita o addirittura stupida, ma se hai la cirrosi epatica la colpa non è del medico che te lo dice, per quanto stupidamente lo possa fare, o più semplicemente, se hai la febbre la colpa non è del termometro.

Dunque qui si rende necessario, per non fare chiassate rumorose quanto vuote, reimpostare due questioni: la questione RAV (il Rapporto di Autovalutazione di Istituto) e la questione discriminazione sociale (la selezione classista nella scuola). 

La questione RAV (la disciplina dello stesso).

Questa è in fondo la più semplice: in primo luogo dovrebbe essere un documento interno, non pubblico, e motivato esclusivamente per garantire una diagnosi sulla condizione presente e una comparabilità con le situazioni passate, e finalizzato a registrare, insieme alle criticità, i modi opportuni per correggerle.

La questione di sostanza.

La discriminazione sociale nella scuola, cioè nello spazio di società deputato per definizione e per legge a contrastare la selezione classista, è tale a prescindere da qualsivoglia RAV, comunque venga scritto.

Si tratta della criticità numero uno e notoriamente del carattere strutturale della scuola italiana. 

La questione reale va dunque formulata così: è in corso nella società italiana una radicazione della differenza di classe oppure no? 

E se lo è, da quando e in relazione a cosa il ritmo se ne è accentuato? 

Il fallimento o l’impotenza della scuola nella correzione di tale stortura si autogenerano nella scuola stessa o sono correlati con la precarietà familiare, la disoccupazione, i livelli salariali, l’accesso alla cultura, le aspettative di mobilità sociale in genere? 

O ci si può illudere che tutto dipenda dalla superficialità espressiva di una preside del quartiere Monte Mario di Roma?

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