RESISTENZA, DIASPORA, EMIGRAZIONE – i Kurdi in Europa e la pace in Medio Oriente

RESISTENZA, DIASPORA, EMIGRAZIONE

i Kurdi in Europa e la pace in Medio riente

La presenza Jurda nei paesi europei, e in particolare in Belgio, Germania e Francia, è divenuta negli anni molto consistente in termini demografici e molto rilevante nel sistema produttivo: si tratta di un processo migratorio che è bene interpretare in relazione alla interminabile situazione di guerra che sconvolge l’intero Kurdistan, circa cinquanta milioni di persone, da almeno un secolo e in modo tragico negli ultimi trent’anni.

La prima relazione che si pone all’attenzione sta nella forte caratterizzazione dell’emigrazione come diaspora: come esilio, come fuga, come salvezza.

La seconda relazione sta nella qualificazione della diaspora come resistenza, per come essa è innervata e cresciuta nella direzione e nella guida espresse dai combattenti e dalla loro rete di solidarietà patriottica.

Per quanto la Germania non conceda alcuno spazio alla libera espressione politica dell’emigrazione kurda, in ossequio agli accordi di compiacenza con la politica criminale di personaggi come Erdogan, in  Belgio operano numerose emittenti televisive kurde, si stampano quotidiani e periodici e si alimentano decine di case di cultura e innumerevoli iniziative politiche al di fuori di quei piccoli confini: in Francia, Inghilterra, Spagna, Italia e nella Germania medesima; senza l’anima costituita dalla resistenza non vi sarebbe rete di solidarietà elementare tra i gruppi coinvolti nella diaspora e non vi sarebbe retaggio comunitario e legame sociale tra le molte migliaia di famiglie che danno corpo all’emigrazione: si tratta, in questo senso, di una grande patria in esilio.

E tuttavia questo peculiare “patriottismo ” ripudia scientemente la prospettiva nazionalistica e non si propone in alcun modo di “farsi stato”: esso persegue una risoluzione pacifica del conflitto con gli stati ufficiali ed in particolare, il più grave tra essi, il conflitto con lo stato turco.

Il modello di riferimento, che ha dato la prova della sua nobiltà e della sua efficacia, è stato teorizzato dai prigionieri politici ed in particolare dal presidente Öcalan, in isolamento a Imrali dal febbraio 1999, ed è denominato “Confederalismo Democratico”: un grande e realistico progetto per la polveriera medio-orientale nato nelle prigioni e diretto da queste, e che ha dato la sua prova eroica in Rojava, nella guerra all’Isis e nella ricomposizione sociale della catastrofe siriana.

Sebbene sia impossibile delineare in poche righe i caratteri di questo progetto, è tuttavia possibile indicarne le condizioni fondamentali, strettamente dipendenti l’una dall’altra: che non vi è pace senza giustizia, che non vi è giustizia senza verità, che non vi è verità senza reciproco riconoscimento.

Il punto politico consiste nel fatto elementare che la reciprocità del riconoscimento comincia dal riconoscimento della figura di Öcalan, la figura politica che unisce tutto il mondo kurdo sia in medio-oriente che nell’emigrazione: è per questo che anche i bambini vi si riferiscono chiamandolo, come i loro padri e i loro nonni, “il presidente Öcalan”; è per questo che il governo turco persiste da vent’anni nella pretesa che il partito fondato da Öcalan sia formalmente definito terrorista e che i suoi capi non possano affrontare processi regolari e umane condizioni detentive.

Ed è per questo che la magistratura belga, investita ripetutamente del problema, si oppone alle accuse della Turchia e alle relative procedure giudiziarie.

Ma Öcalan è il punto: senza Öcalan, e senza la liberazione dei detenuti politici dalla giurisprudenza eccezionale, non vi è giustizia, e senza giustizia non vi è pace.

La soluzione pacifica che può essere resa possibile da uno statuto politico per il Kurdistan, l’unica possibile soluzione, necessita di un sostegno internazionale che passa soprattutto attraverso le istituzioni europee.

É un cammino difficile, a causa della portata e dalla contraddittorietà degli interessi in gioco.

É per questo che la solidarietà visibile e attiva diventa così importante a tutti i livelli, ed è per questo che essa ha assunto anno dopo anno la forma della solidarietà internazionalista e la connotazione simbolica della “lunga marcia”.

Ma la “lunga marcia”, nella concezione del presidente “Öcalan, non consiste soltanto in un traguardo storico che sia risolutivo della questione Kurda: esso consiste, più ampiamente, nella prospettiva filosofica di un superamento del modello di stato leviatano che ha insanguinato tutta la modernità europea, e di qui la sequenza spaventosa degli imperialismi contemporanei.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *