NON SANNO QUELLO CHE FANNO? riflessione sul calvario e sul perdono – di Gian Luigi Deiana

NON SANNO QUELLO CHE FANNO?

riflessione sul calvario e sul perdono

di Gian Luigi Deiana

Uno dei passaggi apparentemente più scontati del Vangelo, cioè della narrazione della vicenda di Gesù di Nazareth e poi della dottrina, è la breve preghiera del condannato: “Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno”.

Davvero “non sanno quello che fanno”?

Se il proverbio secondo cui ognuno ha la sua croce è troppo vuoto per essere vero, è vero invece che un sacco di gente una croce ce l’ha.

Ci sono uomini inchiodati a una croce, destinati a morire in un giorno, e ci sono croci inchiodate ad uomini, fissate per gravare una vita.

Ma non è questo il punto: il punto è che vi è qualcuno che crocifigge qualcun altro, e vi è da chiedersi se chi crocifigge sa o non sa quello che fa.

È importante poichè, alla lettera, la preghiera del perdono si fonda su una ragione: che chi compie il delitto non conosca la propria azione o non sia in grado di dominarne i termini.

Il caso di quel venerdì a Gerusalemme è un vero caso di scuola.

A me la vicenda incanta e atterrisce poichè non riesco cristianamente a crederla tramite la fede costituita, mentre credo di viverla come uno che capita lì per sistemare cose prima della festa, magari vendere agnelli alla fiera e comprare cose per i bambini, e si trova coinvolto in una specie di linciaggio.

Non è necessario essere cristiani per entrare nella scena di ieri, è necessario invece guardarsi intorno oggi accettando anche di essere pre-cristiani, e io in tutta umiltà vorrei esserlo.

Perchè?

Perchè quella scena di delitto verificatasi a Gerusalemme e poi storicamente sublimata in forma di religione si verifica in realtà ogni giorno e in infiniti modi senza risolversi in sublimazione alcuna: gli esseri umani crocifissi sono centinaia, migliaia o milioni a seconda di come allarghiamo lo sguardo.

E allora, per comprenderli, davvero sempre e dovunque basta la preghiera della sublimazione, perdona loro perchè non sanno quello che fanno?

Quel venerdi di Gerusalemme fu teatro di un fatto pubblico, ma quel fatto genericamente pubblico è in realtà un fatto squisitamente politico: un assetto di potere (il Sinedrio) trama una montatura per organizzare una moltitudine, esacerbata dalla misera esistenza plebea, e procedere con tale copertura alla cattura di un uomo, ritenuto espressione di un piccolo movimento eversivo: pauperistico, non violento, ma pericolosamente eversivo, in quanto si riconduce alla visione umanistica dei Profeti.

Per stroncare questo moto prima della grande festa della nazione viene architettato un processo per procura, che viene affidato all’autorità occupante romana in modo da evitare la propria procedura processuale, inefficace a causa dell’infondatezza dell’accusa.

A sua volta l’autorità romana investita del compito non trova fondamento all’accusa, e affida il giudizio alla folla, “quella” folla.

Ed è la folla, di fatto, a pronunciare la sentenza.

In realtà non vi è stato processo, nè giuria, nè giudizio: se si fosse redatto un verbale comparirebbe solo questo: una domanda non pertinente, liberare Gesù o Barabba, una risposta sobillata in una piazza, e una condanna capitale secondo un codice penale estraneo agli stessi accusatori nonchè al costume del luogo.

Ora, chi è che in questo delitto non sa quello che fa?

La folla, per quanto miserabile, probabilmente fu vittima della menzogna.

Pilato, per quanto superficiale e incoerente, probabilmente fu vincolato dalla ragion di stato.

Ma il Sinedrio, e con esso tutto il partito politico dei Farisei, davvero non sapeva cosa stava facendo?

E dunque, per chi l’uomo di Nazareth pronunciò la sua ultima preghiera? per chi, se non per i miserabili col sangue agli occhi che gli sputavano addosso lungo la strada?

Fu conseguente fino alla fine, e secondo me lo fu essenzialmente per loro.

È necessario perdonare, ma soprattutto saper perdonare.

È umano che un colpevole non conosca il peso del suo delitto, ma è un privilegio sacerdotale o una prerogativa del sovrano che un giudice emetta una sentenza ingiusta conoscendone l’ingiustizia.

Quando finì la prima guerra mondiale, nella quale tutti i governi erano ugualmente colpevoli, solo il popolo tedesco, e non il suo governo, non fu perdonato, e in pochi anni si spalancò per tutti l’inferno.

Quando finì la seconda guerra mondiale ci si rese conto che in qualche modo il perdono era necessario per ricominciare, anche se questa volta non solo il governo tedesco ma lo stesso popolo tedesco portavano addosso la totalità della colpa.

Oggi il mondo è seminato di vie del calvario.

In genere vi sono incitamenti alla carneficina o pianificazioni di bancarotta per interi popoli, sempre con lo stesso schema del sinedrio di allora.

Cambiano solo i sacerdoti e il loro clero disseminatore di fake, ma la menzogna è la stessa.

Chi costruisce il falso e investe sulla fraudolenza e decide del destino di interi popoli solo per un cenno delle dita, o con un input su un programma automatico di guerra finanziaria, sa benissimo quello che fa.

Padre, quelli non li so perdonare.

 

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