FASE 1, FASE 2: un giorno nel Mar dei Sargassi – di Gian Luigi Deiana 

FASE 1, FASE 2: un giorno nel Mar dei Sargassi

di Gian Luigi Deiana

Quando alle elementari ci si raccontava la traversata di Colombo ci si disse che dopo due mesi di navigazione verso ovest gli equipaggi delle caravelle erano sulla soglia dell’ammutinamento, e che Cristoforo potè restare al timone e procedere solo in quanto si levò in aria il grido della vedetta: “terra”; in realtà non era la terra, era un ampio tratto di mare denso di non so cosa ma diverso dal grande oceano, chiamato poi il Mar dei Sargassi.

Aprì una condizione nuova nello stato d’animo dei marinai, e ciò fu provvidenziale in quanto scemarono le tentazioni di cambiare percorso, che sarebbero state suicide.

Procedere era l’unica possibilità, e comunque di lì a poco la terra apparve davvero.

Ora siamo all’incirca nel Mar dei Sargassi, ma non è più tempo della saggezza dei marinai.

Ci viene a tutti la sindrome della soluzione e come capita sempre nel desiderio della partita finale siamo tutti Valcareggi, e non riusciamo a contenere la tentazione di scrivere i tempi e i modi della rotta giusta.

Ciò è lodevole quando uno ne fa un diario per gli amici come si fa per esempio in facebook, è invece più problematico quando se ne redige un testo che ambisce alla funzione di documento politico.

In questi due mesi di caravella io, come tutti, mi sono imbattuto su molte di queste elaborazioni; a volte in accordo, a volte con pazienza, a volte con scetticismo, a volte con rabbia, a volte con schifo.

Ma ora, nella fibrillazione del Mar dei Sargassi, la tentazione di tutti è più forte e si è sollecitati a prendere posizione, o almeno ad avanzare idee ulteriormente alternative: obbedienti o critici, collaborativi o ammutinati.

Da dove cominciare?

Poichè la materia è complicata il presupposto fondamentale del discorso consiste in un requisito di metodo, in elementare senso cartesiano: non mischiare i diversi piani e avanzare solo idee chiare e distinte.

Buttarla direttamente in politica significa per me buttarla direttamente nel cestino.

Certo che si tratta di una cosa straordinariamente politica, ma ogni sintesi (e ogni sintesi è una operazione politica) deve aver luogo solo alla fine di una analisi e non prima.

La proposizione di idee distinte e chiare deve temere come la peste le pseudoidee confuse e soprattutto le pseudoidee false, soprattutto quando appare che esse ci diano ragione: infatti viviamo in un tempo in cui la potenza dirompente e corsara della politica si muove sempre più con armi di falsificazione di massa, e per essere chiari voglio sottolineare che la più abbietta di queste armi è confezionata con argomenti di sinistra (per es. l’antiliberismo o il parlamentarismo o i diritti individuali) assemblati dall’estrema destra e rilanciati nel discorso pubblico dei circuiti di sinistra con tutto l’equivoco mimetismo che ne favorisce la diffusione.

Superate queste precisazioni sul metodo il tema si divide in tre parti: la situazione sanitaria, l’affidabilità dell’informazione e le condizioni per il ritorno a una parvenza di normalità.

Ciascuna di queste tre parti comporta un giudizio sulla affidabilità dei soggetti rispettivamente deputati: la scienza (ufficiale o alternativa), il giornalismo (ufficiale o controinformativo), il governo (ufficiale o di opposizione).

In linea di massima, relativamente a questa situazione, confesso di confidare più sulla scienza ufficiale che su quella alternativa, più sul giornalismo ufficiale che su quello sedicente controinformativo, e più sul governo in carica che su un governo delle attuali opposizioni.

In linea di massima, e quindi con importanti eccezioni.

Primo, sulla gestione sanitaria: la statuizione delle zone rosse è stata approssimativa e tardiva, la relazione emergenziale tra stato e regioni  confusa e permeabile a pressioni improprie, l’approvviggionamento di dispositivi protettivi estremamente negligente, la dislocazione Covid in strutture deputate gravemente superficiale e imprudente.

Secondo, sull’affidabilità dell’informazione pubblica: al netto delle paturnie (per es. Enrico Mentana), delle oneste partigianerie (per es. Propaganda live), delle obbedienze mainstream (per es. RAI news) abbiamo toccato con mano che il male dell’informazione non sta essenzialmente nel panorama costituito, peraltro dotato di sufficienti anticorpi, ma sta negli attacchi tumorali costituiti dalle fake news sono diventati un tumore organizzato: questa malattia nonchè la sua incompatibilità col pluralismo costituisce il vero problema della libera informazione oggi.

Viceversa considero irrinunciabile il lavoro tenace di voci critiche, oppositive o semplicemente indipendenti, politicamente inequivoche e professionalmente corrette.

Terzo, sull’azione del governo: comprendo tutte le difficoltà di un capo del governo costretto giorno e notte a dedicare tutta la sua attenzione al rischio di precipitazione dell’economia e quindi alla necessità di un paracadute europeo, ma non trovo giustificazione alla lentezza dell’apparato burocratico, all’omertà e al defilamento del ministero della difesa, al dilettantismo sciacallatico del ministero dell’istruzione in materia di digitalizzazione spinta della didattica, e infine alla trascuratezza del ministero dell’interno su alcuni gravissimi abusi di polizia.

Questi quattro ministeri si chiamano rispettivamente: Dadone, Fuerini, Azzolina e Lamorgese.

A questo punto l’analisi converge sul tema delle condizioni di un ritorno alla normalità.

Dal giorno 20 aprile, cioè da soli tre giorni, il rapporto tra nuove guarigioni e nuovi contagi si sta livellando su 1 a 1; un mese fa avevamo invece 7 nuovi contagi per ogni nuova guarigione.

Siamo sulla rotta giusta, ma questi dati sono stati resi possibili da cinquanta giorni di quarantena generale: la fine della quarantena di massa apre uno scenario ignoto, caricato comunque di interdizioni e preoccupanti imprevisti.

Insomma siamo pur sempre nel Mar dei Sargassi: la terra è ancora lontana dalla vista e anche solo una nuova piccola tempesta può significare il naufragio.

Tuttavia dobbiamo cominciare a mettere scialuppe in mare, poichè il ritardo dei tempi per arrivare a terra rischia di far morire di fame sulle caravelle tutti i marinai.

Dunque si va, ma come?

Qualunque decalogo deve poter responsabilizzare i lavoratori, non solo come artefici della ripresa della produzione (artefici, in quanto senza lavoratori le imprese fanno solo danno) ma anche come avanguardie della ripresa della vita civile.

Ad esempio, ma proprio un piccolissimo esempio, ogni singolo lavoratore che svolge il compito produttivo deve aver garantito, se lo desidera, il riposo fuori di casa una volta la settimana, a prescindere se ciò sia possibile per ogni altra figura sociale.

Il nodo costituito dalle fasce deboli (bambini, anziani, disabili, marginali, non garantiti ecc.) va pensato dovunque come nodo di ripresa psicologica della coesione generale.

È difficile, anche perchè in concreto, nel caso specifico dei bambini e dei ragazzini, nel momento in cui lavoratori e lavoratrici tornano al lavoro permane comunque la chiusura delle scuole: e questo diventa un nodo nel nodo da risolvere necessariamente “con lentezza”.

Qui, nell’immensa e scompaginata diffusione delle fasce deboli, probabilmente si può fare appello anche al lavoro volontario, implementando il volume di interventi realizzato in questi mesi solo da organizzazioni circoscritte quali la Caritas o la Croce Rossa.

Accenno in ultimo al tema delle libertà individuali e del primato del Parlamento, cavalli di battaglia oggi cavalcati a iosa da personaggi quali Roberto Fiore, Bruno Vespa, Nicola Porro, oltre che da veri benemeriti cittadini di ogni estrazione sociale.  Bene, io G.L.D. dichiaro che le libertà individuali garantite dalla Costituzione camminano su doveri, pena la totale beffarda insignificanza.

Chi accusa Emergency di curare migranti disinteressandosi dei malati di Covid non merita alcuna premura sulle sue libertà individuali.

La mia personale libertà individuale non va messa sul conto della Costituzione repubblicana e di chi l’ha combattuta allora, va messa concretamente sul conto della disposizione di me stesso alla ricostruzione sociale che si rende necessaria oggi, o almeno a non esserne un ostacolo, un intralcio o un peso.

In attesa di vedere finalmente la terra, dobbiamo confidare nei lavoratori e nel patrimonio della classe lavoratrice troppo a lungo disconosciuto.

Dobbiamo confidare nel debito sociale che abbiamo nei confronti dei bambini, dei vecchi, dei disabili e dei marginali.

E dobbiamo aver chiara la stella polare: socialismo o barbarie.

 

 

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