L’ESSERCI DELLA SEDIA CHE NON C’È: una goccia fucsia in un vaso di sangue – di Gian Luigi Deiana

L’ESSERCI DELLA SEDIA CHE NON C’È

una goccia fucsia in un vaso di sangue

di Gian Luigi Deiana

 

Trovo la vicenda della sedia, cioè dell’incidente diplomatico della U.E. in Turchia, assolutamente positiva e a suo modo provvidenziale: almeno per ora.

Trovo invece stucchevoli tutte le considerazioni di quelli che la sapevano lunga, secondo i quali quelli che invece la sanno corta avrebbero il torto di svegliarsi adesso per una frivolezza, e avanzerebbero l’ipocrisia di fare momentaneamente casino sulla sedia mancante mentre non hanno mai battuto ciglio su violenze sistematiche, guerre gratuite e morti ammazzati.

La questione della sedia mancante, in sè tragicomica, corrisponde in pieno invece alla comune figurazione della goccia che fa traboccare il vaso: ed in un ordine delle cose bloccato da almeno dieci anni e per almeno dieci anni assassino è proprio questo quello che conta, che una goccia, una sola, possa mandare tutto quell’ordine mortuario gambe all’aria.

Personalmente ritengo questo evento, la goccia, assolutamente provvidenziale.

Per la nostra comune modalità percettiva il concentrato della vicenda è propriamente surreale, come se lo avessimo memorizzato alla moviola analogamente allo sbarco sulla luna o al gol di Maradona all’Inghilterra: Ursula Von Der Leyen sta per un attimo in piedi, il presidente del consiglio europeo Michel si stira le gambe facendo finta di non vedere, mentre er carogna si siede tranquillo sulla sedia sultana esibendo il successo della sua regia di umiliazione.

Passiamo all’interpretazione: Erdogan si riteneva impegnato con Michel, in qualche modo suo omologo nel confronto diplomatico, ma non si riteneva impegnato con Ursula Von Der Leyen, in tal senso superflua e visibilmente sgradita.

Dal canto suo Ursula ha inteso come opportuna la propria partecipazione in quanto lui Erdogan, essendo un autocrate con poteri sia di presidente della repubblica che di primo ministro, è omologo almeno da ambedue questi lati e quindi anche rispetto a lei.

E anche solo alla vista, in realtà, il superfluo e tontolone è apparso a tutti il voluminoso e goffo Michel.

Alle spalle di questo evidentissimo qui pro quo sta sia la recentissima uscita della Turchia dalla Convenzione Internazionale sulla violenza contro le donne sia la preferenza turca per trattative coi singoli Stati europei piuttosto che con l’Unione.

Inoltre, egli Erdogan è uno che odia le donne e ci tiene a farlo vedere, e che ne tollera la vista solo attraverso il loro svilimento.

Quindi, in un tale contesto, viva Ursula e lode al suo contegno, a prescindere.

Ora, al prezzo di una donna esposta in mondovisione come un pezzo di arredo fuori posto, un poco di cristalleria è andata in pezzi: in sede di Parlamento Europeo molti deputati hanno chiesto le dimissioni di Michel, in Italia il presidente del consiglio Draghi, con spontaneità e senza retropensieri, ha definito Erdogan “dittatore”, dando titolo autorevole a una persuasione generale finora non detta.

La Turchia a sua volta esige scuse da parte italiana minacciando il ritiro dell’ambasciatore, e più estesamente spiattella in forma di ricatto il via libera a un milione di profughi contenuti entro i suoi confini.

La tecnica del ricatto sui migranti e della sua rinnovazione è semplice: la Turchia, paese membro della Nato, si spende come cliente fisso della nostra industria di armamenti.

Poi con un esercito di settecentomila uomini e un armamento delirante inventa guerre su fronti diversi.

Poi con le guerre crea centinaia di migliaia di profughi, e con i profughi lancia l’estorsione diplomatica dei grandi numeri. La Turchia, cioè questa Turchia di questo autocrate, è infame.

Ma: la Turchia è un cliente e un fornitore importante nel gioco del neoliberismo e delle delocalizzazioni.

Non solo è un cliente fondamentale per le grandi commesse di armamenti, è il partner industriale forse più importante per la produzione di componentistica delle grandi case industriali europee, eccetera.

Non solo: Erdogan flirta apertamente con Putin in Siria, a spese dei Kurdi; copre Putin sul Mar Nero, e quindi sul Dombass, come sul Caspio, e quindi sulla Cecenia.

Ha provocato la guerra Azera contro l’Armenia dilaniando ancora una volta il disgraziatissimo Nagorno Karabak.

Putin a sua volta ringrazia immettendo l’industria cantieristica turca nel mare artico, affidando la costruzione e gestione del più importante porto artico russo in previsione di uno spostamento planetario del commercio marittimo verso la rotta artica stessa.

Persino il cambio di scena costituito dalla brexit è stato preso cinicamente al balzo: l’ipotesi di una grande partnership britannica come opzione alternativa rispetto al mercato europeo è diventata per il dittatore una chance potente almeno quanto lo è la tentazione simmetrica per Boris Johnson.

E infine il petrolio, ivi compresa l’esportazione opaca verso reti paramafiose, e le avveniristiche rotte commerciali progettate dalla Cina verso l’Europa: le giugulari di tutta l’economia del continente, il traffico legale e quello illegale, gli accordi governativi e le mafie, tutti transitano più o meno per la Turchia. 

La partita è davvero tremenda.

Si è immobilizzata per un attimo, solo il tempo di un flash, davanti a un piccolo gilet fucsia per la provocazione di una sedia mancante. 

Cogliere l’attimo: questa è ora la necessità; l’attimo passa anche e necessariamente per il carcere di Imrali, per il prigioniero Ocalan, per le migliaia di detenuti politici in turchia, e per il riconoscimento della causa Kurda come problema internazionale.

Erdogan non cadrà per una generica ostilità internazionale, cadrà per l’onda di disonore che ha gettato sul Popolo che governa, cadrà per la resistenza di milioni di Kurdi, e cadrà per il sentimento della rivolta che anima i giovani e le donne in tutta la Turchia.

 

 

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