CENTO GIORNI: virulenza e letalità del COVID in dieci decadi, dal 20 febbraio al 30 maggio – di Gian Luigi Deiana

CENTO GIORNI
virulenza e letalità del COVID in dieci decadi, dal 20 febbraio al 30 maggio

di Gian Luigi Deiana

La virulenza non è una caratteristica del virus e nemmeno una caratteristica della popolazione da esso investita: la virulenza è invece la relazione tra questi due poli.

Quindi asserire che il virus diventa di suo meno aggressivo o che la popolazione diventa di suo più resistente è fuorviante.

È solo la relazione traducibile in numeri che può essere utile per comprendere questo legame.

La letalità a sua volta non è da ascrivere alla capacità letale del virus o alla debolezza delle difese nei contagiati, ma è a sua volta una relazione aritmetica, cioè quanti decessi si verificano su tutti i contagi sintomatici che sono stati accertati.

Poichè il decorso mortale non avviene immediatamente, ma matura nell’arco di una decina di giorni, se rapportiamo il numero di decessi di una decade al numero di contagi della decade precedente possiamo ricavare un indizio sulla variazione del tasso di letalità nello scorrimento del tempo.

Come è noto la danza è cominciata in italia il 20 febbraio ed in capo a cento giorni, cioè al 31 maggio, sono stati registrati 233.000 contagi con evidenza sintomatica, e 34.400 morti.

La relazione complessiva che ne viene fuori è per niente tranquillizzante: quasi 15 decessi ogni 100 contagi.

Non va inoltre trascurato il fatto che i guariti, che alla lunga dovrebbero essere circa 85 ogni 100 ammalati, non raramente sono soggetti a lunghi tempi di recupero fino a una reale guarigione.

Procedendo a un sezionamento per decadi possiamo certamente registrare una progressiva attenuazione della virulenza, ma non una sensibile attenuazione della letalità.

Ed inoltre l’attenuazione della virulenza è stata fino ad oggi in Italia direttamente proporzionale all’adozione delle misure precauzionali: cioè ci si è ammalati di più laddove la contiguità fisica è stata maggiore e l’osservanza delle precauzioni è stata minore.

La prima decade, 20 febbraio – 1 marzo, ha registrato 1700 contagi.

Il relativo conto dei decessi è generalmente maturato nella decade successiva, 1 marzo – 11 marzo, e registra 790 morti.

Ora 790 morti su 1700 contagi significa una percentuale spaventosa, 46,47 %, quasi 1 su 2.

La virulenza è poi cresciuta vertiginosamente fino a oltre 5.000 nuovi contagi al giorno.

Il picco è stato raggiunto nella quarta decade, dal 21 al 31 marzo, con 52.200 nuovi malati in soli dieci giorni.

La decade successiva, 1 aprile – 10 aprile, tuttavia registra una certa diminuzione della letalità, con 6.400 decessi: il rapporto percentuale (6.400 su 52.200) resta comunque molto alto: 12,26 morti ogni 100 ammalati.

Nella classifica della morte la decade più travagliata è stata sempre la quarta, 21 marzo – 31 marzo, con oltre 7.600 decessi (cioè 760 al giorno).

Questi, se riferiti alla decade precedente (41.100 contagi dall’11 marzo, inizio del lockdown, al 21 marzo) presentano un rapporto percentuale di 18,50 morti ogni 100 malati.

La percentuale delle guarigioni presenta evidentemente un andamento inverso: al 31 maggio possiamo registrare un dato complessivo di 157.500 guariti dimessi su circa 233.000 contagi, cioè una percentuale che si avvicina al 70% e che lascia comunque in terapia un discreto numero di non guariti
(almeno il 15% dei contagi).

Ma nella prima decade era di poco superiore al 50% (960 guariti su 1700 ammalati); la decade di svolta quanto alle guarigioni la si è raggiunta comunque tardi, cioè dopo 70 giorni di buio: l’ottava decade, 30 aprile – 10 maggio, ha segnato quasi 3.000 dimissioni al giorno.

Cosa ci dice l’ultima decade, quella che corre dal 20 maggio al 30 maggio e che prelude alla riapertura generale nota come fase 3?

L’ultima decade segna 1010 decessi, che se rapportati al numero di nuovi ammalati registrati nella decade precedente, 8.300, significano comunque un tasso di letalità del 12,17%.

La virulenza si è fortemente attenuata in forza del lockdown, scendendo da oltre 5.000 contagi al giorno del mese di marzo, ai 3.000 al giorno del mese di aprile, ai meno di 1.000 al giorno del mese di maggio.

Nell’ultima decade di maggio siamo scesi sotto la soglia dei 500 nuovi contagi al giorno ed ormai, ai primi giorni di giugno siamo abbondantemente al di sotto dei 200.

La letalità resta comunque alta, ben al di sopra del 10%, e per molti restano comunque elevate le sofferenze della piena guarigione.

Cosa possano significare le riaperture, certamente necessitate ma esposte a complicazioni reali, a semplificazioni immaginarie e a rischi persistenti, è tutto da vedere.

In una situazione così incerta chi assicura che il virus non è più virulento, se è un importante medico del ramo, è un irresponsabile: infatti è un medico importante.

 

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