CITTÀ FUTURA: il bavaglio e le mascherine – di Gian Luigi Deiana

CITTÀ FUTURA:

il bavaglio e le mascherine

di Gian Luigi Deiana

Oggi 27 aprile ricorre l’anniversario della morte di Antonio Gramsci, anno 1937.

Per il presente segna invece l’avvio della fase 2 del lockdown, cioè la possibile rottura dell’assedio Covid 19.

L’immobilizzazione di oggi ricorda fortemente quella di cento anni fa, quando nella rovina della grande guerra il giovane Gramsci delineò il compito di ricostruzione materiale e di risollevamento civile dell’intera società, il compito per la città futura.

La cosiddetta fase 2 enunciata ieri sera dal capo del governo è oggetto di controversie svariate, sia fondate che pretestuose: esse riguardano tutto, i bambini, i congiunti, le famiglie di fatto, le sante messe, i funerali, le librerie, le palestre e tutte quante le mille forme della composizione sociale.

Cerchiamo in breve di cogliere il nodo fondamentale, che già solo in poche ore risulta silenziato da questioni importanti ma oggettivamente subordinate: il passaggio di fase del lockdown è indispensabile per evitare un tracollo mortale della produzione.

Il passaggio di fase deve quindi riguardare primissimamente la produzione e cioè il mondo del lavoro, quindi primissimamente i lavoratori.

Senza questa condizione è assolutamente irragionevole esporre l’intera collettività al rischio di una ricaduta generale nell’espansione dell’epidemia e a fronte della priorità di questa condizione, letteralmente, persino il paradiso deve attendere.

Questo significa che i lavoratori in quanto classe, e non i singoli operatori o i singoli comparti in concorrenza tra loro e gli uni prima degli altri, i lavoratori sono i portatori diretti del compito della ricostruzione.

Ciò che lascia sconcertati è invece la loro estromissione non solo dai processi decisionali, ma anche dai luoghi di discussione pubblica: è per questo che li vediamo ridotti a figure di passaggio fugace davanti alle telecamere, con una paura obbligata al bavaglio, piuttosto che protetta da una mascherina.

Questo genere di immagine lascia intravvedere una società che dopo aver ridotto in condizioni estreme la sua prima linea di difesa, la classe medica, mostra di non tenere in alcun conto il compito direttivo e produttivo del suo grande esercito che solo può muovere la ricostruzione.

Siamo praticamente al punto di annientamento della volontà operaia, o anche semplicemente di una Repubblica fondata sul lavoro.

Fondare sui lavoratori l’intero compito della ricostruzione, questo è il senso logico di una qualunque fase 2.

Garantire ai lavoratori mobilità, sicurezza, e una condizione di riposo che non corrisponda alla forma di riposo coatto per lavoro coatto.

E l’appello alla loro autoorganizzazione, alla loro responsabilità estesa anche al di fuori della fabbrica, è la condizione successiva della ripresa generale.

La classe operaia è il respiro di una società risanata.

 Viva Gramsci

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