Stefano Bertoldi, insegnante, sociologo e collaboratore del CESP, con Nicola Giua, insegnante e portavoce dei COBAS Scuola Sardegna.
Con Nicola Giua, portavoce dei COBAS Scuola Sardegna, abbiamo commentato l’ennesima rappresaglia del Ministero dell’istruzione nei confronti del collega Andrea Scano, insegnante tanto inviso all’autorità scolastica quanto apprezzatissimo dalle famiglie dei suoi giovanissimi allievi, reo di portare all’attenzione pubblica gli effetti perversi del registro elettronico.
In una puntata precedente avevamo messo in luce anche l’inutilità di questo strumento che non solo non velocizza il lavoro burocratico dell’insegnante ma addirittura lo rallenta e lo amplifica.
Oltre a questo avevamo criticato l’ansia da prestazione e controllo tra i genitori e gli alunni che esso ingenera tramite il ”just-in-time” dei voti, delle note, dei compiti, ecc. ecc., insomma una velocità che in questo caso toglie il senso di un rapporto docente-allievo basato sulla fiducia, sulla riflessione e sui tempi di ”decantazione”.
Ci siamo allora chiesti: cosa si può nascondere dietro un’introduzione via via invasiva degli strumenti digitali in ambito scolastico a partire dal registro elettronico, fino all’odierna tele-didattica in versione Covid 19? Perché, seguendo la metafora della ”rana bollita”, questi cambiamenti da semplici sperimentazioni, svolte in buona fede con l’obiettivo di migliorare il lavoro dell’insegnante ed arricchirne la didattica, possono introdurre un virus che invece ne svuota il ruolo sociale?
L’elemento in comune tra il registro elettronico, l’INVALSI ”computer based” e oggi la tele-didattica svolta tramite piattaforme di proprietà di grandi multinazionali, è sempre lo stesso: la standardizzazione e il controllo dei processi formativi, o meglio di ”addestramento”.
Dai problemi di privacy mai risolti dallo Stato italiano per quanto concerne il registro elettronico, si passa alla standardizzazione a livello nazionale della valutazione, cioè uno dei fulcri intorno a cui dovrebbe svilupparsi il rapporto personalizzato tra docente e allievo per finire, in piena emergenza, con la tele-didattica.
La malafede del Ministero dell’istruzione che da una parte proclama di investire miliardi nella scuola per liberarci finalmente dalle classi ”pollaio” ma dall’altra ci parla di un proseguimento a settembre al 50%, metà a scuola e metà a casa tramite le piattaforme delle solite multinazionali, è palese. Altre prove della malafede rispetto al futuro che hanno in mente i governanti rispetto al ruolo pedagogico dei docenti, si annidano nell’assenza totale di un piano per una gestione pubblica, condivisa e open-source delle piattaforme per la DAD: pur avendo un ente consortile gestito e controllato dal MIUR, il CINECA, che come mission ha proprio la sperimentazione, la consulenza e la personalizzazione dei vari supporti digitali, dal registro elettronico alla teledidattica, alla gestione dei dati, ci si affida ad imprese private italiane o appunto, a grandi multinazionali.
Le ripercussioni in termini di privacy e di libertà di insegnamento sia sul contenuto stesso delle didattica, sulla valutazione e su tutte le comunicazioni riservate riguardanti gli alunni, magari con bisogni educativi speciali, sono notevoli ma sembra che i docenti stessi non se ne rendano conto.
La prospettiva a lungo termine di questo lungo percorso di svuotamento, infatti, è quella che vede il docente funzionale ad un sistema formativo nozionistico, sempre più standardizzato asservito alle esigenze di un mondo produttivo che necessita di individui docili al sistema neo-liberista.
Svuotato nel suo ruolo di valutatore comprensivo e ”motivante” ma anche di progettista dei propri contenuti e delle modalità di insegnamento e di relazione con i propri alunni, l’insegnante 2.0, ”à la page” cui pensano gli esperti del ministero, si avvicina più a quello di un intrattenitore televisivo con funzioni di ”tutor” e di animatore digitale, più che al responsabile di un processo di maturazione di individui capaci di pensare con la propria testa e di cambiare, in meglio, il mondo.
Forse l’intenzione di non mettere affatto in discussione il modello di sviluppo neo-liberista che ci ha portati tragicamente a questa pandemia passi proprio da una non-formazione delle future generazioni?