IL PIU’ GRANDE MERCATO D’EUROPA – di Vincenzo Soddu

Visto da fuori il mercato di San Benedetto è un enorme parallelepipedo ricoperto di mattoncini rossi. Dicono che sia il più grande mercato civico d’Europa, ma io non ci credo… penso che in realtà ci sia un mercato, magari a Londra, più grande e che non è mai stato misurato.

Il mercato di Cagliari ha però un primato che nessuno gli potrà mai sottrarre: è da 65 anni il cuore pulsante di una città, sempre lì, fiero, a difendere il suo passato, mentre anche il gemello mercato di Via Pola ha già ceduto il passo ad una mirabolante mediateca ipertecnologica.

C’è stato addirittura un periodo in cui, per riparare il reparto ittico, si è trasferito in una tensostruttura aperta ai lati che trasformava l’estate e l’inverno in stagioni tropicali, quali a Cagliari non s’erano mai viste. Ma anche quella volta è stata una corsa contro il tempo. E infatti fuori, nonostante i restauri, il mercato di San Benedetto mostra ancora le sue ferite dovute agli anni.

Appena si entra, però, le cose magicamente cambiano…

Varcato l’ingresso principale, ci si trova subito davanti il reparto carni bianche, macabro spettacolo di polli impiccati e quaglie imbalsamate, mentre, oltre i sacchi di lumache, lungo le pareti, corrono i box delle carni rosse, o arrossate dal sangue degli agnellini, dei maialetti eviscerati, con i fegati freschi in bella mostra, e i cuori nascosti tra i tagli freschi.

A metà del mercato, sotto bandiere del Cagliari che pendono minacciose dall’alto, pane, salumi, vini, formaggi e dolci sardi creano come una tregua, fuori dai toni accesi di quel colorato mattatoio.

Nelle corsie centrali, invece, è tutto un tripudio dei colori bianco-verdi delle verze e dei finocchi, rosso-viola dei peperoni e delle melanzane, bruni delle cipolle, gialli delle banane, scuri dei funghi prataioli e dei porcini, arancioni, d’inverno, dappertutto, come in un mare in piena, dei mandaranci e dei mandarini.

Lo stretto labirinto è occupato interamente dai piccoli contadini che lottano sino all’ultima goccia d’energia per imporre i loro prodotti.

Il problema, infatti, è che questi contadini vendono quasi tutti le stesse merci: asparagi, broccoli, cicorie, bietole, carciofi, favette… passare è quasi un’impresa, ed uscirne un trionfo, soprattutto con la convinzione di non essere stati truffati dall’abilità contrapposta di quegli astuti sensali.

“ Signora… questi sono sardi… “

“ Signora… questi altri sono coltivati senza conservanti, tutto in modo naturale… “

Le signore, appunto… le regine del mercato.

Come la signora Sanna…

Anche se lei, propriamente, non era una regina del mercato. La signora Sanna era in realtà una patita della musica classica, una balena vorace che si saziava delle note musicali in quantità industriale, come un’assatanata del sesso, delle posizioni più estreme del Kamasutra… molti, nel giovane quartiere Fonsarda, dicevano che fosse proprio quello il motivo del chiodo fisso della signora: la mancanza di sesso che il marito maresciallo convogliava convenientemente su prede migliori della consorte.

E forse per questo la signora si cibava delle ouverture di Wagner o delle cavatine rossiniane come delle ritmiche percussioni pelviche di un maschio selvaggio.

Nonostante ciò, a mia madre, stava bene trascorrere una sera alla settimana a casa della signora Sanna, perché lei era sempre stata una vera intenditrice di musica classica, e d’altronde nessuno, tanto meno lei, aveva la collezione di 33 giri della benestante moglie del maresciallo.

E neanche a me dispiaceva, per la verità, accompagnarla a quelle serate, vista la sicura presenza della graziosa giovane figlia della padrona di casa che veniva puntualmente costretta dalla madre ad assistere in silenzio, quasi come in una macabra premonizione del suo futuro disagio di donna sposata.

Appena la fonovaligia attaccava un’aria di Verdi, allora, io mi incantavo meccanicamente a seguirne i riflessi sulle già promettenti forme di Gabriellina. Mi fissavo, a guardare le carni morbide muoversi al ritmo della musica, come un ebete pago dell’evidenza di una realtà fino a poco tempo prima sconosciuta, nemmeno immaginata.

Ed attendevo la successiva serata.

Ora, però, siccome alla signora Sanna non era parso vero d’aver conquistato un’amica così fedele (cosa mai successa prima nella sua triste vita…), aveva praticamente costretto mia madre ad accompagnarla alla rituale quotidiana spesa al mercato di San Benedetto, ed io con lei, e Gabriellina con me.

Il mercato di San Benedetto era la cattedrale laica di un territorio costellato allora da pigri cantieri e campagne fuori dal tempo… nel breve percorso di stretti sentieri e alberi spontanei, superata Villa Muscas, che in realtà era la scuola agraria, il mercato appariva come il totem di un quartiere ancora senz’anima.

C’era in tutti un senso di reverenza nell’entrare ogni volta in quel monumento profano della modernità, anche se per me costituiva soltanto il primo assaggio di un sesso furtivo e reale nella mia acerba vita di adolescente brufoloso della periferia cagliaritana.

Tra i banchi occupati dai quarti di bue e dalle cassette di frutta, appena le due donne si fermavano a contrattare con il commerciante di turno per ammorbidirne le pretese economiche, noi assaporavamo con sempre meno incosciente innocenza le gioie del contatto sessuale.

Era un bacio furtivo, più spesso una palpatina ai glutei, ma quello era lo sviluppo massimo del nostro romanzo erotico, e tanto doveva bastare.

Andò avanti così, per mesi, senza particolari passi avanti e questo sembrava darci sempre maggiore sicurezza.

Poi, improvvisamente, la signora Sanna sparì per seguire il marito maresciallo trasferito a Cuneo per un’inaspettata promozione, e chissà se anche nella piccola città delle Langhe trovò un’amica occasionale pronta ad assecondarne le opportune per lei maratone musicali.

Fatto sta che sparì anche Gabriellina, e così quella mi apparve subito come la fine di un sogno, come quando un sogno è interrotto da un rumore improvviso, banale, che ci lascia un ricordo sfumato, ingigantito più che altro dalla difficoltà di focalizzarlo come appariva in origine, anche se io sapevo che a quel ricordo non volevo rinunciarci…

Al mercato di San Benedetto, io, ci tornai molti anni dopo con mio padre, che dopo la morte di mia madre aveva preso a frequentare quel luogo come una tappa privilegiata del suo sfrenato tour giornaliero, necessario a cancellare dalla mente il ricordo martellante della moglie.

Mio padre amava la mia compagnia e spesso, appunto, sapendo delle mie lontane esperienze, mi invitava ad assaporare con lui i sapori unici di quel luogo. Cibi sani, prezzi modici, contatto umano, principi per lui imprescindibili.

Mio padre, però, a differenza di mia madre, amava soprattutto il mercato ittico, al piano terra, e la sua gioia nel descrivere i pregi del pesce azzurro era veramente commovente, quasi la sardina diventasse per lui il simbolo del cibo proletario nel tempio della spesa capitalistica.

Il pesce azzurro, allora, era sulla parete destra, prima che vi mettessero i frigoriferi dei surgelati, e precedeva le sontuose aragoste ed i gamberoni rossi, il pesce spada e il tonno.

Alla sinistra le ostriche, i bocconi, le cozze e le arselle, intrappolate sempre più nelle loro retine, garanzia di allevamenti salutari e nostrani.

Il regno delle orate, delle spigole e delle cernie, anch’esso pesce nobile, prima che arrivassero le peschiere, era nell’angolo a destra, gestito da un’antica cooperativa di pescatori.

Al centro, nelle tre strette corsie parallele, era ed è il regno della piccola pesca, delle triglie e delle seppie.

I polpi bolliti, infine, stavano sempre oltre le scale che portavano al mercato dell’ortofrutta, mentre sulle corsie opposte trovavi allora i primi surgelati, sogliole, astici, ricci ed anguille.

Sfumature meno accese, quelle del mercato ittico, più fredde, quasi trattenute dalle abili furbizie dei pescatori più scaltri… bianco ghiaccio, rosa tenue, rosa sabbia, azzurro ghiaccio, azzurro pallido, azzurro pastello…

Io seguivo mio padre, ma in realtà speravo di vedere dietro ogni box mia madre e la signora Sanna contrattare con il commerciante di turno per ammorbidirne le pretese economiche.

E vedere Gabriellina, con le sue sfumature di seta, o almeno come mi pareva di ricordare.

Così non tutti i pescatori apprezzavano il passo turistico che imprimevo sempre alle visite tra i banchi del pesce, e me lo mostravano con sguardi infastiditi, nonostante i plateali interventi di mio padre, il quale seguiva un suo incessante copione di cui io dovevo essere il principale spettatore.

La scena d’orgoglio con cui consegnava nelle mie mani le spigole più fresche, per esempio… o il vanto di saper distinguere un’orata di peschiera da un’orata fresca.

Mio padre era fatto così, un uomo entusiasta della vita, in ogni sua forma.

Poi, però, ogni volta anche noi salivamo al reparto ortofrutta, a godere di quel tripudio di colori accesi che in nessun modo il mercato del pesce riusciva a mettere insieme.

E così un giorno, in uno di questi apparenti diversivi, mi sentii chiamare alle spalle.

Gabriellina era lì, stretta in un camice bianco che ne metteva in risalto le forme sempre più generose, pronta a raccontarmi la sua vita senza di me.

“Ho tre figli… “

“…”

Non seppi che dire, nonostante lei mi aiutasse con un sorriso ammiccante.

Era diventata una bella donna, piena, di salute e di tutto il resto.

“ Buffo, vero? Dopo tanto tempo ci incontriamo nuovamente al Mercato di San Benedetto “.

Ne convenni.

Poi vidi, accanto a lei, un ragazzo massiccio e basso che affettava il salame con l’abile destrezza data dalla lunga esperienza.

Lei si accorse del mio debole sorriso e me lo presentò.

“ Efisio, questo è Vincenzo, un vecchio amico “.

Gli strinsi la mano e me ne andai con una scusa.

Non so perché, ma da quel giorno non sono più entrato in quel magico luogo.

Anche quando mio padre mi invitava inconsciamente a recarmi lì per studiare le gradazioni dal bianco al giallo dei formaggi di Efisio…

Forse allora non avevo più nessuno con cui condividerne i ricordi più intensi.

E forse per questo, ora che mio padre non c’è più, mi è tornata la voglia di entrarci nuovamente…

Vincenzo Soddu

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