LA PSICOSI DELLA PSICOSI (il carattere politico di una perversione immortale) di Gian Luigi Deiana

LA  PSICOSI  DELLA  PSICOSI

(il carattere politico di una perversione immortale)

di Gian Luigi Deiana

 

Non dispongo della certezza scientifica sull’effettiva esistenza del famigerato virus diciannove e sulla sua oggettiva pericolosità, so che è una certezza attestata da altri ma tuttavia ne ho una certa convinzione anche io.

Maturando questa convinzione ho anche messo in conto, giorno dopo giorno, la diffusione del suo alone psicotico, che non è mai facile da dissolvere quando si propaga nella forma di un timore collettivo e oscuro.

Il fenomeno della psicosi è subdolo non in quanto è l’effetto di un evento grave, ma in quanto diventa a sua volta la causa di una percezione alterata, la quale può provocare eventi ancora più gravi: si tratta del fenomeno della bugia che si autoavvera, o della paura che replica il fatto. 

La psicosi partorisce una “sproporzione”.

Questa successione è grave poichè innesca a sua volta la reazione inversa, che consiste in un disconoscimento del fatto originario e in una conseguente attribuzione di falsità a tutto il contesto che ne è derivato, anche se questo è reale, in quanto viene fatto apparire come sostanziato dalla psicosi originaria.

E a questo punto si viene a costituire, praticamente dal nulla, la psicosi della psicosi.

La psicosi della psicosi è una psicosi al quadrato, e rispetto alla psicosi popolare semplice è molto più sofisticata in quanto chiama in campo dei veri e propri specialisti politici: leader populisti, giornali di provocazione, opportunisti mediatici, esibizionisti della critica radicale ecc., con tutto il seguito di replicanti social.

Una vera perversione sociale.

La psicosi della psicosi evoca costantemente la pseudoteoria del complotto, laddove ovviamente i perfidi attori del complotto sono il Governo, l’Europa, la globalizzazione, le banche, la Cina, le cavallette ecc..

Le versioni più astruse e le statistiche più fantasiose convergono sul totale disconoscimento degli indirizzi proposti dalle istituzioni sanitarie e delle decisioni intraprese dai governi.

Ed il refrain consueto di tale narrazione sentenzia inevitabilmente che il fine recondito dell’instaurazione dell’emergenza è la sospensione della democrazia, la sperimentazione dello stato di polizia o analoghe conclusioni fantapolitiche.

Questa melassa ha visto curiosamente in sintonia in questi giorni reazionari dichiarati come Matteo Salvini e Vittorio Feltri, frange appassite di sinistra cosparse di dischi rotti, esibizionisti incurabili come Vittorio Sgarbi ecc..

Desta davvero meraviglia l’evoluzione spericolata delle argomentazioni dalle chiassate iniziali contro le prime misure di controllo alle ultime invocazioni alla chiusura totale.

Nel caso di scuola rappresentato da Matteo Salvini, passato in due settimane dal proclama della negazione generale (apriamo tutto) al proclama della proibizione totale (chiudiamo tutto), si muove tutto lo spettro dei fissati del complottismo.

L’uso sregolato dei mezzi di comunicazione social da parte di attori pubblici (leader politici, opinion makers, dischi rotti) instaura, a lato dello stato di emergenza, una propria prerogativa di sciacallaggio generalizzato.

Poichè nei fatti l’evoluzione della situazione è imprevedibile e l’osservazione scientifica è incerta, è nell’ordine delle cose che la rotta intrapresa dalla responsabilità dei governi sia ondivaga e costellata di errori: ma chi ne denuncia complotti contro la democrazia deve essere chiamato a rendere conto di quello che dice.

In tutte le situazioni di crisi la democrazia ha visto travestirsi da propri guardiani i suoi sciacalli.

Quindi è quanto mai necessario essere attivamente consapevoli del fatto che la salute fisica e la democrazia politica sono congiuntamente nelle mani dei cittadini e non devono cadere in ostaggio di opportunisti maniacali: l’alternativa è il caos.

Il caos non è così tanto improbabile quando si instaura uno stato di eccezione 

Vi sono molte maglie fragili nella tenuta dell’organizzazione sociale e due esempi fondamentali sono oggi sotto gli occhi: il sistema sanitario e il sistema carcerario.

Il sistema sanitario, con enormi sforzi, con molti pericolosi strafalcioni e con le prime vittime di trincea, per ora sta tenendo.

Vi traspare tuttavia in tutta la sua vergogna, come in una inclemente resa dei conti, il suo peccato originale, il costo sociale della privatizzazione.

Ma tuttavia sta tenendo poichè abbiamo coscienza che in definitiva è nelle nostre mani.

Il sistema carcerario invece è saltato, senza preavviso e solo per due apparenti ovvietà: la paura della malattia in celle sovraffollate e la sospensione della socialità parentale.

Si contano molti morti ed è di assoluta evidenza, nonostante la censura sulle immagini e sulle informazioni, la sorprendente simultaneità e la pulsione suicida presente nelle rivolte.

Anche qui si materializza, nonostante la triste retrocessione della vicenda a semplice notizia di cronaca, una inclemente resa dei conti: mentre per mesi si è dibattuto a vanvera sulla prescrizione la bomba carceraria, innescata da decine di anni,  era pronta per scoppiare, ed è scoppiata.

Ma a differenza del patrimonio ospedaliero, che la coscienza pubblica rivendica ancora come proprio, il patrimonio carcerario non è rivendicato da nessuno.

Forse è per questo che dalla sua attuale tragedia si leva un esile segnale di cosa può essere il caos quando, nella disabitudine alla responsabilità individuale si instaura, anche solo per la necessità delle cose, lo stato di eccezione.

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