Magia bianca e magia nera della prima lettera dell’alfabeto (lezione postuma per l’ultima classe della mia vita) – Gianluigi Deiana

– magia bianca:

la A è una cosa di sembianza perennemente innocente ma di essenza assolutamente misteriosa, anzi misterica e lo è circa il doppio di quanto lo sia la santissima trinità a tutti nota; essa è una trinità divina da un lato e una trinità diabolica dall’altro;

tutti fin da bambini abbiamo avuto a che fare con la A in quanto prima lettera dell’alfabeto; l’alfabeto è oltre ogni dubbio la più strabiliante invenzione umana, ma poiché in quanto tale non esiste in natura esso deve essere comparso in forza di qualche innesco artificiale; bene, poiché la A ne costituisce la chiave fondamentale, capire il segreto della A significa disporre della chiave fondamentale per la comprensione della storia;

‘A’ è l’espressione fonetica indicante il luogo dell’abitare (nella radice indopeuropea ‘Ar’ è il terreno messo a coltura e nella radice semitica ‘A’ è figurativamente la casa; la ‘a’ minuscola, prima grande conquista dei bambini che esordivano col calamaio, è come una casa piccola nella casa grande, una specie di grembo materno); insomma la ‘A’ ovvero la ‘a’, grazie alla rivoluzionaria invenzione fenicia o più probabilmente aramea che chiamiamo alfabeto (un atomo fonetico = un atomo grafico) è in origine la riduzione pittografica di una parola, la casa, e questa è la riduzione lessicale di un concetto, l’abitare: quindi, come dice il vangelo di giovanni, ‘in principio era il concetto’, cioè il concetto dell’abitare; in secondo luogo la cosa dell’abitare, cioè la casa; in terzo luogo il disegno pittografico della casa, ‘A’; qui sta la divina trinità della ‘A’, come concetto, come cosa e come disegno; la riduzione pittografica di altre parole fondamentali condensate nel loro suono iniziale (di qui tutte le lettere dell’alfabeto) ne è la conseguenza applicativa;

è indubbio che ci sono o che sarebbero possibili innumerevoli altri sistemi di scrittura, ma la scrittura alfabetica fondata sulla ‘A’ ha battuto nella storia tutta la concorrenza: infatti noi abbiamo finito per identificare ‘tutta’ la storia con il tempo della scrittura, intesa come la scrittura alfabetica con i suoi genitori più prossimi (il mix cuneiforme-ideografico delle prime civiltà) e con i suoi discendenti più diretti (il mix analogico-digitale della nostra epoca);

qui sta il punto chiave: se prima della ‘A’ c’è stata la preistoria, dopo la ‘A’ ci sarà la post-storia: capire questo è fondamentale: potrebbe andare tutto totalmente male, ma se tutto andasse relativamente bene la post-storia riporterebbe il gioco alla preistoria, esattamente nel senso della nota parabola di kubrick sul computer ‘hal’ cui l’umanità ha consegnato i codici dell’astronave: bene che vada la curva parabolica della storia può chiudersi e il lume dell’intelligenza tornare al suo inizio col fardello di una plurimillenaria e non biodegradabile stupidità; qui finirebbe il tempo magicamente bianco della magica ‘A’;

kubrick mette in scena il primo fotogramma della post-storia come assenza di molteplicità: deserto, monolito, embrione: primo fotogramma di una nuova lunga preistoria, la clava.
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– magia nera:

la storia della cultura non ha cristallizzato la ‘A’ nella sua pura funzione grafica, ne ha fatto anzi una parola assolutamente speciale e precisamente la ‘parola’ che indica l’assenza, il non esserci della ‘cosa’; ma il non esserci di questa cosa qui rimanda all’improba pensabilità del non esserci in generale, e quindi del non essere in quanto ‘concetto’, posto che il non essere possa essere pensabile; ecco quindi, in ordine inverso rispetto all’ordine della magia bianca, la trinità di segno-cosa-concetto: ma questa volta si tratta di una trinità diabolica e del suo potere misterico di magia nera;

per entrare nel labirinto diabolico di questa trinità buia dobbiamo dimenticare il carattere meraviglioso della ‘A’ come chiave di tutte le porte del linguaggio, delle cose e dei concetti: essa qui resta sempre una chiave, ma una chiave che gira a vuoto su ogni possibile porta, del linguaggio, delle cose e dei concetti: essa è letteralmente la chiave del vuoto;

nel suo potere di annientamento la ‘A’ indica l’assenza di una necessaria presenza: anonimia, anomia, apatia, abulia, anoressia, asocialità, apolitica, ecc.; qualunque entità possiate sperimentare, comunicare o semplicemente pensare, questa può essere annientata da questa piccola piccola chiavetta della nullificazione; essa può entrare nella testa di un bravo bambino e fargli disegnare la mamma sgozzata, può entrare nella testa di un giovane come tutti e farlo andare alla stazione con uno zainetto pieno di tritolo, può entrare nella testa di una mamma e legarla a una slot machine fino all’ultimo spicciolo dello stipendio; è vero che ciascuna di queste è una eccezione, ma quale realtà viene a comporsi con la somma ora dopo ora crescente di tutte queste eccezioni?

il mondo ha cominciato a prestarsi alla comprensibilità propriamente umana quando questa ha cominciato a coltivare la comprensione razionale, e tra gli strumenti di questa la chiave della distinzione in un mondo molteplice, interessante e vario; ciò avvenne quando molti kubrick dei tempi antichi, il più importante dei quali è secondo me anassimandro, concettualizzarono “l’indefinito”, e lo chiamarono appunto a-peiron: qui inizia la storia vera e propria dell’umanità: la decifrabilità di ogni cosa, la scienza, la politica, il diritto, la morale, il senso di ogni cosa in genere: la chiave della distinzione (altrimenti detta il lume della ragione) è da allora l’attrezzo fondamentale senza il quale nessuna mamma farebbe uscire i figli da casa e senza cui anche la mamma, se mai questa chiave la perdesse, finirebbe per essere cercata attraverso la trasmissione ‘chi l’ha visto’;

tuttavia, se resta vero che al principio era il verbo (appunto la chiave della distinzione) prima del principio era l’indefinito e prima di ogni possibile parola o di ogni possibile decifrazione la totale afasia e il totale non senso; se questa era la condizione pre-umana, e specificamente pre-storica, essa incombe sul tempo post-umano o specificamente sul tempo post-storico; peggio, essa incombe non più su un ominide mosso da curiosità e desiderio, ma su un post-uomo il cui sistema biologico è regolato dall’equilibrio metabolico di indifferenza e ottusità; il fantasma dell’ a-peiron da cui ci siamo sganciati con anassimandro, e che abbiamo tenuto abbastanza a lungo nel suo buco nero, torna oggi ad annunciarsi in quella che einstein ritiene la sua modalità più diabolica e onnipotente: la stupidità;

l’astronave corre verso un modello di socialità asociale, di politicità apolitica, di democrazia ademocratica, di esistenza senza rigenerazione, di pace mamma di guerra, di sanità bigpharma, di grafia agrafica, di comunicazione afasica, di egoismo senza individualità, di sofferenza per indifferenti, ecc.: o no?
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((ho scritto questo come saluto per la mia ultima terza liceo che ora è una quinta liceo e va all’esame; ma l’ho scritto su questo argomento perché ieri sera un amico che insegna in una scuola media mi ha mandato copia di un giornalino di scuola, scritto da quella che lui definisce la prima generazione agrafica della storia: mi associo in questa madre di tutte le battaglie: la scrittura è la chiave fondamentale con cui aprire la porta di se stessi; chi non scrive, infatti, nell’ apeiron globale che vedo avanzare, preclude anzitutto l’accesso a se stesso)).

A

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