NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE (un brano del discorso di bob dylan all’accademia del nobel)

(oggi termina il mese mariano e inizia il ‘governo del cambiamento’; cosa promette di nuovo il fronte occidentale?questo pomeriggio ho portato un bambino di nove anni che legge poco a comprare un libro; puntavo sul richiamo della foresta, ma lui ha preferito l’isola del tesoro; ho trovato per caso lì a fianco il libriccino contenente il testo del discorso di bob dylan per il nobel e l’ho preso per me e siamo andati a leggere all’ombra; nel suo discorso bob dylan dice che non si è mai posto il problema se le sue scritture fossero letteratura, ma afferma che una cosa ha dignità letteraria se aiuta a capire la natura umana e dare una misura alle cose, e con questo rende omaggio a tre dei libri che sono stati letteratura per lui: moby dick (ove ismaele dice che il luogo da cui viene non sta in nessuna cartina, in quanto i luoghi veri non ci stanno mai), l’odissea (ove achille dice ad odisseo che è mille volte preferibile essere l’ultimo tra i vivi piuttosto che un re fra i morti), e appunto “niente di nuovo sul fronte occidentale” che narra della prima guerra mondiale o di tutte le guerre; questa lettura con a fianco un bambino con l’isola del tesoro in mano mi ha ricordato una visita al piccolo museo di caporetto, kobarid sulla piana dell’isonzo, capitata quando avevo i bambini piccoli)). – g.l.d.
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“Niente di nuovo sul fronte occidentale” è un racconto dell’orrore, leggerlo vuol dire perdere l’infanzia, la fiducia nel fatto che il mondo abbia un senso e perdere l’interesse per gli altri individui. Sei prigioniero di un incubo, risucchiato in un gorgo misterioso, fatto di morte e di dolore. Devi difenderti dall’eliminazione fisica, vieni cancellato dalle mappe. Una volta eri un giovane innocente che coltivava il grande sogno di diventare un pianista da concerto, una volta amavi la vita e il mondo, e ora quel mondo lo fai a pezzi a fucilate.
Giorno dopo giorno, i calabroni ti morsicano e i vermi ti leccano il sangue. Sei un animale in trappola. Non riesci a trovare un posto dove stare. La pioggia cade monotona. Ci sono assalti senza fine, gas nervino, morfina, rivoli di benzina in fiamme, si scava e si fruga alla ricerca di cibo; ci sono influenza, tifo, dissenteria. La vita tutt’intorno va in frantumi, mentre fischiano i proiettili. E’ il girone più basso dell’inferno. Fango, filo spinato, trincee piene di topi, topi che mangiano gli intestini dei morti, trincee colme di sporcizia e di escrementi. Qualcuno grida: “Ehi tu, alzati e combatti”.
Chi può sapere quanto durerà questa follia? La guerra non ha limiti. Tu sei annientato e la tua gamba sanguina troppo. Ieri hai ucciso un uomo e hai parlato con il suo cadavere. Gli hai detto che appena tutto questo sarà finito passerai il resto della vita a prenderti cura della sua famiglia. Chi ci guadagna? I comandanti e i generali guadagnano fama, e molti altri ne ricavano profitto. Ma il lavoro sporco lo stai facendo tu. Uno dei tuoi commilitoni dice: “Aspetta, dove vai?”. E tu rispondi: “Lasciami in pace, torno fra un minuto”. E poi entri nelle selve della morte a caccia di un pezzo di salsiccia. Non riesci a capire come i civili possano trovare un senso qualunque alla loro vita. Tutte le loro preoccupazioni, tutti i loro desideri, non riesci più a capirli.
Altre mitragliatrici crepitano, altri brandelli di corpi pendono dai fili, altri pezzi di braccia, gambe e teschi con le farfalle che si posano sui denti, altre orribili ferite, pus che esce da ogni poro, ferite ai polmoni, ferite troppo grandi per il corpo intero, cadaveri che emettono gas, corpi morti che mandano odori nauseanti. Dappertutto è morte. Nient’altro è possibile. Qualcuno ti ucciderà e userà il tuo corpo per allenarsi al tiro. E gli stivali: sono il tuo bene più prezioso, ma presto calzeranno i piedi di qualcun altro.
Ci sono mangiarane che spuntano dagli alberi, bastardi spietati. Sei a corto di proiettili. “Un altro attacco, così presto, non è giusto”. Uno dei tuoi compagni giace nella polvere e vorresti portarlo all’ospedale da campo. Qualcun altro dice: “Risparmiati il viaggio”. “Che vuol dire?”; “Giralo e capirai”:
Aspetti di sentire le notizie. Non capisci come mai la guerra non sia finita. L’esercito è così a corto di rinforzi che stanno reclutando ragazzi. Servono a ben poco, ma li reclutano lo stesso perché non ci sono più uomini. Malattie e umiliazioni ti hanno tolto ogni speranza. Sei stato tradito dai tuoi genitori, dai tuoi insegnanti, dai tuoi preti e dal tuo governo.
Anche il generale che fuma lentamente il suo sigaro ti ha tradito, facendoti diventare un criminale e un assassino. Se potessi, gli pianteresti una pallottola in faccia. E lo faresti pure al comandante. Fantastichi che se avessi i soldi daresti una ricompensa a chiunque lo facesse fuori, con qualunque mezzo. E se in quell’azione perdesse la vita, lasceresti il denaro ai suoi eredi. Il colonnello, poi, con il suo caviale e il suo caffè, quello è un altro buono. Passa tutto il tempo al bordello degli ufficiali. Anche lui lo vorresti vedere morto stecchito. Altri Tommy e Johnny con il loro whack fo’ me daddy-o e il loro whisky nelle caraffe. Ne ammazzi venti e ne saltano fuori altri venti. Ti sale la puzza alle narici.
Disprezzi quelli più vecchi di te che ti hanno spedito in questa follia, in questa stanza delle torture. Ovunque ti volti, i tuoi compagni stanno morendo. Di ferite addominali, di doppie amputazioni, di anche fratturate, e tu pensi: “Ho solo vent’anni, ma sarei capace di uccidere chiunque. Anche mio padre, se mi attaccasse”.
Ieri hai cercato di salvare un cane che portava messaggi e qualcuno ti ha gridato: “Non fare lo stupido”. C’è un mangiarane a terra davanti a te, la gola che gorgoglia. Gli pianti una lama nello stomaco ma è ancora vivo. Dovresti finire il lavoro ma non ci riesci. Sei davvero su una croce di ferro e un soldato romano ti avvicina alle labbra una spugna imbevuta di aceto.
Passano i mesi. Vai a casa in licenza. Con tuo padre non puoi più parlare. Ti ha detto: “Se non ti arruoli sei un codardo”. Pure tua madre, appena sei oltre la porta, ti dice: “Sta’ attento alle francesine”: Ancora più follia. Combatti una settimana, un mese, e avanzi di nove metri. Il mese dopo se li sono ripresi.
Tutta quella cultura vecchia di mille anni, quella filosofia, quella saggezza – Platone, Aristotele, Socrate – , che fine ha fatto? Non doveva impedire tutto questo? Pensi a casa tua e sei di nuovo uno scolaretto che cammina tra gli alti pioppi. E’ un ricordo piacevole. Altre bombe ti cadono addosso, sganciate dai dirigibili. Devi darti una mossa. Non guardi più nessuno, per paura di qualcosa che potrebbe accadere per puro errore di calcolo. La fossa comune. Non ci sono alternative.
Poi ti accorgi dei ciliegi in fiore e capisci che la natura non è toccata da ciò che sta accadendo. I pioppi, le farfalle rosse, la fragile bellezza dei fiori, il sole… capisci che la natura è indifferente a tutto. Tutta la violenza e la sofferenza dell’umanità: la natura non se ne accorge nemmeno.
Ti senti così solo. Poi un pezzo di shnarpel ti colpisce alla testa e sei morto. Eliminato, sul tuo nome è stata tirata una riga, sei stato sterminato.

Ho chiuso il libro e l’ho messo via. Non ho mai più voluto leggere un romanzo di guerra , e non l’ho fatto mai più. ((b.d.))

Gian Luigi Deiana

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