QUESTO NON È UN MONDO BELLISSIMO storia di Agitu e di capre

QUESTO NON È UN MONDO BELLISSIMO
storia di Agitu e di capre

di Gian Luigi Deiana

 

Fino a ieri mattina non avevo mai sentito parlare di Agitu Gudeta, una donna etiope capitata in Italia in ragione di una fuga obbligata dal suo paese in regime di guerra.

Capitando in Trentino un pò di frequente, finora associavo le capre di quelle montagne ad Heidi, la bambina cui sorridono i monti, perchè nella realtà è difficile ormai trovare capre lassù, come anche da ogni altra parte.

Invece Agitu è riuscita a metterne insieme un bel pò.

C’è riuscita la montagna, e c’è riuscita la capra.

Questo è il punto fondamentale: una donna in fuga, una montagna abbandonata, e un animale domestico in estinzione.

Tre antichi destini segnati, che legati insieme partoriscono un destino nuovo: letteralmente “un mondo bellissimo”.

Ora la creatrice di questo destino impensato è morta: ma prima di essere sgomentati da questa morte, e dopo averne pianto la sepoltura, è necessario conservare il significato.

Infinite scene di mondo possono essere ricreate e innumerevoli donne sono in grado di farlo.

Piante e animali possono esistere al di fuori di riduzioni seriali in macchine da carne e da latte, da frutta o da ortaggi.

Questa possibilità non deve più essere pensata nei termini delle vicende eccezionali o delle intraprese sovrumane, come ci si è presentata Agitu Gudeta, ma nei termini della normalità: altrimenti il prezzo non sta solo nel destino di marginalità perenne di migliaia di immigrati o di giovani, ma anche nel destino di desertificazione di migliaia di chilometri quadrati di territorio e nel destino di estinzione di tutte le famiglie animali e vegetali non corrispondenti ai ritmi della sovrapproduzione seriale.

La vicenda di Agitu non è quindi materia di un film di frontiera, e nemmeno di un corteo triste con le candeline: è invece un problema politico grande quanto l’incalcolabile spreco di montagna, di campagna, di bosco e di beni della terra.

Agitu non è il nome di una vicenda individuale finita tragicamente, è invece il nome di una assenza di mondo necessario.

Vi è poi il modo della tragedia.

A sangue ancora caldo i nostri stupidissimi social socializzavano frenetici il fatto che la donna in precedenza fosse stata molestata da un vicino, con l’usuale contrassegno razzistico.

Quindi la trama dei nostri reality mentali prefigurava di lì a poche ore una conclusione rispondente ai nostri bisogni di autoconferma, magari come è stato per il caso del giovane Willy Monteiro ad Artena o del bracciante Sacko Soumayla a Rosarno;

Ma non è andata così: Agitu è stata semplicemente uccisa da uno di quelli che lavoravano con lei, un giovane ghanese preso su dalla vita di strada.

Non conosciamo in dettaglio il movente, se denaro o delusione o rancore: conosciamo solo la regola dominante, sono gli uomini quelli che ammazzano le donne.

Sono i maschi quelli che affidano all’omicidio la risoluzione di un problema.

Plasticamente, quando sono le donne a partorire una trama di vita.

Millenni di storia sono testimoni di tutto questo.

Insomma, come cercò di indicare un poeta, qualche delitto senza pretese lo abbiamo anche noi, qui in paese.

Certamente saremmo forse più tacitamente soddisfatti, più autoconfermati in noi stessi se potessimo ora disporre di un colpevole corrispondente alle nostre buone attese e al nostro latente bisogno di vendetta.

Ma non è così, e se possiamo trarne una lezione essa sta nel confessare a noi stessi anche il carattere oscuro della nostra abitudine a giudicare, del tutto simile a quello di chi in materia di immigrazione la pensa all’opposto di noi.

Questo non è un mondo bellissimo, nemmeno coi buoni propositi: è un mondo di contraddizioni atroci che non risparmiano nemmeno la virtù.

Con tutto questo, da me che quanto posso ne piango, un augurio profondo quanto ne sono capace: alla montagna e agli animali che la abitano.

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