TUTTE LE STRADE PORTANO A LOSA: quarantena sarda sul quarantesimo parallelo – di Gian Luigi Deiana

TUTTE LE STRADE PORTANO A LOSA
quarantena sarda sul quarantesimo parallelo
di Gian Luigi Deiana
 
In realtà non stiamo vivendo una quarantena, ma qualcosa di meglio, poichè non siamo ingabbiati, e qualcosa di peggio, perchè la pena dura ben più di quaranta giorni.
Andare da soli in giro è dunque un ragionevole compromesso con la situazione.
 
Purtroppo però chi di noi può farlo deve attenersi a un limite di trenta chilometri dal proprio luogo di residenza, e dunque trenta ad est e trenta ad ovest impongono comunque un limite definito, come in una colonia penale. 
 
Tuttavia a me è capitato di iniziare nell’ultimo giorno di zona bianca, che corrispondeva al primo giorno di primavera.
Nutrivo un forte proposito e avevo anche una bandiera con me: attraversare la Sardegna sul quarantesimo parallelo, da ovest ad est, onorando il Newroz del popolo kurdo oggi di nuovo sotto attacco nella Siria del nord, e trovare il modo di parlarne. 
Each small candle.
 
Così in quel primo giorno ho marciato di fretta, poco meno di quaranta chilometri, dalla riva del mare a S’Archittu fino alla cima della montagna, punteggiata di antenne, fino al crocevia nuragico di Losa, tra Paulilatino e Abbasanta.
E’ stata davvero una bella giornata, ma nel primo pomeriggio su al monte ho schivato di fortuna una breve ma bruttina bufera di neve.
 
In sardo Losa è due cose: in minuscolo è la tomba, mentre in maiuscolo è da sempre il luogo di crocevia più importante di tutta l’isola, oggi segnato dallo snodo delle superstrade, dalle stazioni di servizio e dal nuraghe imponente e taciturno da tremila anni: in ambedue i significati, che tutte le strade portino a Losa è una specie di verità, sia geografica che esistenziale.
 
E poi inizia il tempo della riserva, col vincolo chilometrico sul terreno; quasi altri trenta chilometri per Turrana, sulla gola tra Ardauli e Sorradile e un magnifico piccolo santuario, e altri trenta ancora fino a Teti, con il Gennargentu ormai proprio davanti. 
 
Di qui poi aspettiamo, aspettiamo che la quarantena velata e interminabile alla fine passi, perchè si deve continuare.
 
Tra Santa Vittoria e eti si erge il punto mediano del quarantesimo parallelo in Sardegna: si chiama Sa Crabarissa e si tratta di una formazione rocciosa in cui la morfologia del granito ha trovato la sua forma espressiva nella morfologia della fiaba.
La pietrificazione della figura femminile è un luogo ricorrente nelle saghe dei popoli: la punizione della moglie di Lot, solo per essersi voltata indietro nella fuga da Sodoma, ne è una specie di archetipo.
Si tratta di un retaggio psichico brutale e stupido: le donne hanno un’anima e nessuna anima sottostà ad alcuna pietrificazione.
E le rocce, a loro volta, assumono forme anche bizzarre e inquietanti ma assolutamente inerti e disanimate: è semplice.
 
E’ curiosa la traiettoria del quarantesimo parallelo.
In Sardegna di là da Sa Crabarissa la sua linea lambisce Monte Novo, che è la grande torre calcarea del Supramonte, e poi le Tombe dei Giganti sul Flumineddu a Fennau e la voragine del Golgo più in là, di nuovo sul mare.
 
Ma se per via immaginaria potessimo continuare oltre il Tirreno troveremmo Elea, sulla costa Lucana vicino a Capo Palinuro.
Elea fu l’acropoli di Parmenide e il tempio della grande metafisica greca.
E lì il timoniere Palinuro morì per incanto d’amore.
Ma se poi voli ancora più a est saluti Santa Maria di Leuca e oltre lo Jonio trovi l’Olimpo, il monte di tutti gli Dei.
E poi Ankara, e poi tutto il Kurdistan adagiato sui monti dell’alta Mesopotamia.
E poi Ararat, il monte alle cui falde approdò Noè dopo la furia del diluvio.
E poi Bukhara, Samarcanda e Pechino, e perfino Pyong Yang prima dell’oceano.
E di là ancora Sacramento, e i deserti dello Utah, del Nevada e del Colorado, Denver, Springfield e Philadelfia. E poi le Azzorre e Coimbra e Madrid.
E infine, infine, Losa di nuovo, dove torna ogni strada: e tutto senza confine.
Tutto senza confine.
 
((Devo aggiungere qui un piccolo ringraziamento ad una classe di liceo di Ghilarza, che mi ha invitato in questa occasione per parlare della situazione kurda oggi. E quindi della repressione in Turchia, della guerra ai confini, del coinvolgimento italiano nella fornitura di armamenti per una guerra contro i civili, dell’uso degli sfollati di guerra come ostaggi di massa nei confronti dell’unione europea, della prigionia di Ocalan e di migliaia di perseguitati politici, dello sciopero della fame come forma estrema di resistenza, e infine di Helin Bolek, voce della band Grup Yorum, morta proprio un anno fa, il tre aprile, all’epilogo di uno sciopero della fame di 288 giorni: venerdì santo, Helin)).

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