Viaggio in Palestina: Nabi Saleh, un villaggio palestinese davanti all’occupazione militare – di mariella Setzu

Dopo l’incontro con Fadwa Barghouthi facciamo un breve giro per Ramallah, di cui mi colpisce la vitalità, e anche mi colpisce un grande murale che dipinge la Nakba, il violento sradicamento del popolo palestinese dalla sua terra, a partire dal 1948-’49, e la conseguente condizione di carcerazione e
perdita di risorse.
Alle 16.30 siamo al villaggio di Nabi Saleh, 20 km a nord-ovest di Ramallah, circa 600 abitanti, che da anni affrontano il contatto diretto con l’occupazione militare israeliana e l’invazione dei coloni. Questo significa resistere a forme di agghiacciante brutalità con le armi della ragione, del coraggio, della consapevolezza dei propri inviolabili diritti, del testimoniare e documentare ciò che accade.
E’ la resistenza popolare non violenta contro l’occupazione.
Il sig. Naji Tamimi, che ci accoglie quando entriamo nel villaggio, ci spiega che, a causa di una colonia israeliana e di una strada che serve la colonia, è stato bloccato l’accesso alla fonte d’acqua, malgrado una sentenza della corte israeliana abbia decretato che la fonte è dei palestinesi.
L’esercito non ha rispettato la sentenza, così dal 9 Dic. 2009 sono iniziate manifestazioni, ogni venerdì (perché è il giorno di riposo), per rivendicare il diritto negato. Poco dopo entriamo a casa della famiglia Tamimi e prendiamo visione di un impressionante filmato le cui immagini sono del 2010-2012, che documenta le violenze dell’esercito.
Il sig. Tamimi continua a fornirci alcune delucidazioni mentre guardiamo il filmato. Vediamo la zona dove avvengono le manifestazioni e ci fa notare come l’esercito si piazzi a distanza ravvicinata dai manifestanti, sparando ad altezza d’uomo. Ci fa notare un giornalista israeliano del secondo canale – perché partecipano anche giornalisti israeliani alle loro manifestazioni. Ci fa notare anche una mitragliatrice in uso dell’esercito che spara 64 lacrimogeni alla volta; ce n’è anche un’altra che ne spara 300 per volta. Vengono sparati anche dentro le case con grave rischio di soffocamento per chi è dentro; e ne sono stati lanciati anche nella casa dove si facevano rifugiare i bambini.
D’estate, quando sparano i lacrimogeni, spesso si incendia la collina, a volte si incendiano le case.
I soldati usano anche spray al peperoncino contro i manifestanti non violenti, che rende difficile la respirazione e quando va negli occhi impedisce di vedere per delle ore.
Non fanno differenza tra uomini, donne, bambini, palestinesi, internazionali, usano la stessa violenza contro qualsiasi manifestante, e spesso sono più numerosi i soldati degli stessi manifestanti.
A volte entrano nelle case e si posizionano sui tetti per avere maggiore visuale. Naturalmente i bambini si spaventano molto.
All’inizio i bambini e le signore anziane si raggruppavano al secondo piano di una delle case del villaggio, pensando che fosse più sicuro, ma poi l’esercito ha sparato lacrimogeni dentro la casa e le persone stavano soffocando. Sono stati evacuati dalla finestra, i bambini sono rimasti traumatizzati.
L’esercito attacca quasi tutti i giorni della settimana, non solo il venerdì, effettuando incursioni notturne, arresti che riguardano anche i minori; il 35 % dei bambini sono stati arrestati – un ragazzo di quattordici anni è stato tenuto in arresto per tre giorni senza mangiare né da bere, senza che potesse andare in bagno, e durante gli interrogatori gli hanno messo davanti un foglio da firmare scritto in ebraico, lingua che il ragazzo non conosce; le uniche parole scritte in arabo erano i nomi di Naji e Kasseb, due persone del villaggio; gli hanno detto che se avesse firmato quel foglio sarebbe stato rilasciato perché Naji e Kasseb erano venuti a prenderlo. Il ragazzo è uscito, ma poi sono venuti ad arrestare Naji e Kasseb, perché nel foglio c’era in realtà scritto che loro avevano costretto il ragazzo a partecipare alla manifestazione.
Prendono di mira anche le donne del villaggio che sono molto combattive. La maggior parte sono state arrestate, picchiate, malmenate, nonostante ciò sono sempre alla testa delle manifestazioni.
I soldati fanno inoltre uso di idranti che gettano acqua chimicamente trattata in modo da renderla fetida, e se l’acqua ti colpisce il puzzo rimane per giorni sulla pelle e sui vestiti.
Il villaggio ha il grosso problema di rifornirsi d’acqua, e l’esercito se la prende con le taniche d’acqua danneggiandole e svuotandole, o contaminando l’acqua. Nel villaggio l’acqua arriva una volta alla settimana; mentre i coloni israeliani hanno l’acqua 24 ore su 24.
Ci spiegano che il metodo non violento, oltre a sottolineare la superiorità morale della loro lotta, gli consente di mantenere più stretti contatti internazionali, ma non ha potuto evitare che ben due persone del villaggio perdessero la vita. Il primo martire di Nabis Saleh è Mustafà Tamimi, 28 anni; durante una manifestazione l’11 Dicembre 2011 gli hanno sparato un lacrimogeno in faccia, e hanno detto che se è morto è colpa sua perché non doveva essere là a manifestare.  La corte israeliana ha detto che non c’era nulla di illegale in quello che è successo.
Il secondo martire si chiama Rushdy Tamimi, 29 anni, gli hanno sparato una pallottola di gomma, e poi a distanza ravvicinata gli hanno sparato un proiettile vero.
E’  è stato difficile soccorrerlo perché i soldati sparavano a chiunque si avvicinasse, ma sono ugualmente riusciti a soccorrerlo, è morto dopo due giorni, il 19 Novembre 2012.  Le foto dei due giovani martiri sono sul muro del soggiorno.
Vediamo anche un bambino di nove anni che viene arrestato con un braccio rotto.
Ascoltiamo quel che ci dicono anche altri membri della famiglia Tamimi.
Ogni settimana ricevono almeno 3-4 visite di osservatori,  anche vari israeliani, tra cui ci sono sette refusenik (giovani israeliani che si rifiutano di prestare servizio militare).
E’ difficile stabilire una comunicazione con i soldati israeliani perché vengono spesso cambiati, e quando sono appena arrivati sono molto diffidenti e aggressivi.
Molti video sono stati distrutti dai soldati. L’anno scorso un giornalista spagnolo ha perso l’occhio destro.
Nonostante queste atrocità il villaggio è comunque determinato a continuare a resistere. E’ possibile  venire il venerdì e vedere con i propri occhi quello che succede. Il fatto che questo sia un movimento non violento consente a chiunque di partecipare, non è una resistenza solo per i palestinesi, ma permette a chiunque di prendere parte.
Nel villaggio sono infatti presenti due ragazzi dello SCI (Servizio Civile Internazionale), Eleonora e Luca (FB “La gatta “) che documentano quello che succede nel villaggio e provvedono a spedire i loro report a vari destinatari internazionali, tra cui l’ufficio delle Nazioni unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA).  Ci viene fornito un indirizzo su youtube per il video che abbiamo visto:
http://www.youtube.com/watch?v=4Uy72YZeC9s    Assolutamente da vedere, come anche molti altri filmati collocati vicino a quello indicato.
Gli abitanti di questo piccolo villaggio fronteggiano da anni attacchi di una violenza difficilmente
immaginabile. Nel momento del congedo da questo villaggio, a cui bisognerebbe dare la medaglia d’oro per la resistenza, tra i saluti che ci scambiamo ci dicono che anche noi possiamo lavorare per risolvere questa situazione. Tutti sentiamo che quanto meno dobbiamo contribuire a diffondere
informazione sulla devastante realtà dell’occupazione militare israeliana in Palestina.

Mariella Setzu

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